Solo per due giorni, al Teatro San Genesio di Roma, è andato in scena un interessante spettacolo, scritto e diretto da Alessandro Fea, Beat – Il mio urlo (Omaggio alla Beat Generation) che, prendendo spunto dal poemetto Howl (L’urlo), racconta quella che è stata la Beat Generation, un movimento giovanile di rottura, che trovò una forte espressione in campo artistico, poetico, letterario, musicale.
Il 1955 è l’anno in cui l’autore Allen Ginsberg mandò alle stampe il poema Howl (L’urlo), e Lawrence Ferlinghetti della casa editrice City Lights Bookstore lo mandò all’editore Villiers, in Inghilterra che lo pubblicò. Poi Ferlinghetti importò il libro e il funzionario dell’ufficio doganale diede alla casa editrice City Lights il permesso alla ristampa, senza leggerlo ma quando si accorse che il libro a San Francisco vendeva troppo si incuriosì e quando finalmente lo lesse, il 25 marzo 1957, fece sequestrare 520 copie, perché era preoccupato che potesse turbare la coscienza dei bambini.
Howl conteneva molti riferimenti all’uso delle droghe, e riferimenti troppo espliciti a pratiche sessuali, sia eterosessuali che omosessuali. Il libro venne messo al bando per oscenità e Ferlinghetti venne arrestato con l’accusa di vendita e diffusione di materiale osceno. Lui stesso pubblicò un nuovo Howl purificato dei termini considerati osceni, così il procuratore di stato della California non accolse la denuncia. Ma l’ispettore doganale si lamentò con il tribunale dei minori che emise, per l’appunto, un mandato di cattura nei confronti di Ferlinghetti.
Nove esperti di letteratura testimoniarono in favore del poema. Il 1957 fu l’anno del processo a Howl che si concluse, grazie al sostegno legale determinante dell’Aclu, un’organizzazione a difesa dei diritti civili, con una storica vittoria di Ferlinghetti. Il giudice Clayton Horn riconobbe al poema una “importanza sociale riedificante” che ne riscattava ogni presunta oscenità; fu una pietra miliare nella lotta per la libertà di stampa, che fornì un precedente legale per la pubblicazione di tutta una serie di titoli ancora sotto censura nell’America maccartista.
I lettori del testo vennero completamente coinvolti ed affascinati dallo stile di Ginsberg: se da un lato questo autore aveva scandalizzato una parte della società americana, era inneggiato da un’altra. La Beat Generation, che aveva precorso la rivoluzione del ’68, era sicuramente giunta a realizzare negli animi di un vasto pubblico, una grande opera di liberalizzazione. Ginsberg aveva risvegliato le coscienze di una generazione dal conformismo americano del secondo dopoguerra.
Nell’opera Howl si intrecciano storie ed esperienze dei componenti della Beat Generation, di cui è divenuta un emblema. Il poema è dedicato all’amico Carl Solomon, che Allen Ginsberg incontrò nel 1949 all’ospedale psichiatrico di Columbia, a New York.
Howl è suddiviso in tre parti: è un urlo di dolore (da qui il titolo della pièce), di denuncia, di celebrazione, i cui versi scorrono al ritmo del bebop e dell’avanguardia jazz degli Anni Cinquanta.
Ottima la messinscena dell’autore e regista Alessandro Fea, che ha saputo raccontare con dovizia di particolari quegli anni di fermento che hanno portato alla formazione della Beat Generation. Bravi i quattro attori: Giancarlo Testa è un credibile Allen Ginsberg, quasi sempre presente in scena; Daniele Catini, ottimo nell’interpretare più personaggi, tra cui alcuni esperti in letteratura che hanno testimoniato al processo in difesa del volume incriminato, poi l’amico di Allen Ginsberg, Carl Solomon, ricoverato nell’ospedale psichiatrico. A completare il cast, le attrici Chiara Iuliucci e Ilaria Giambini, anche cantante, che hanno legato con letture gli intensi momenti di recitazione degli altri due attori.
Giancarlo Leone