Miseria e Nobiltà al Teatro Ghione

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Un lavoro veramente completo, esaustivo sul piano dei rapporti sociali, denso di tutti i significati che scrisse nel 1887, quando le differenze sociali erano ancora estremamente sentite.

 

Oggi il lavoro che Giuseppe Miale Di Mauro, a quattro mani con Antonio Guerriero, porta in scena al Teatro Ghione è la pedissequa riedizione, nemmeno tanto aggiornata dato il tema ed i tempi che corrono, di quel capolavoro dello scrittore napoletano che intendeva inequivocabilmente descrivere, in forma utilitaristica, i significati sociali dell’epoca.

 

 

Non a caso Di Mauro accosta, come del resto è nella volontà di Scarpetta, la più nera miseria, quella vera, reale, quella di chi vive sopravvivendo, con la realtà di “chi può”, essendosi magari arricchito senza scrupolo alcuno e che tende ad elevarsi socialmente di grado, colui che oggi definiamo “parvenù”, il classico arrampicatore sociale che tanto è oggi in auge. Lo fa e lo fa con arte sottile, con una forma velata di concorrenza con tutte le versioni che nel tempo si sono succedute da Scarpetta in poi magari nella certezza di aver “innovato” l’anima del soggetto originale; e ci riesce perché l’atmosfera di pietà che ha sempre circondato ad ogni edizione, teatrale o cinematografica che siano, è ora portata a livelli superiori di critica della società evidenziando quanto quella attuale sia veramente crudele.

Tanti sono i soggetti sottesi a questa rappresentazione della commedia di Scarpetta, da quelli che evidenziano i rapporti non facili tra padri e figli a quelli che coinvolgono la nobiltà (e da qui nasce il titolo del lavoro), rapporti che l’insieme dei personaggi che calcano il palcoscenico del prestigioso Ghione sanno abilmente interpretare, personalizzandone la prestigiosa interpretazione e conferendo ad ognuno di loro il giusto significato e l’esatto posizionamento all’interno del non facile lavoro ottocentesco che, per esplicita intenzione dell’autore napoletano, intendeva porre al pubblico una morale tendente a dimostrarne l’utilità sociale.

Quest’ultima intenzione dell’autore è oggi perfettamente portata in scena in modo particolare attraverso le figure di Bettina e di Vincenzo, (agilmente interpretate da Francesca Annunziata e da Philippe Boa), entrambi abilissimi a coinvolgere l’attento pubblico nelle vicende di due famiglie che condividono, per la impossibilità di averne uno proprio, un unico appartamento.

 

Una miscela di interessi, di affetti, di amori anche che inevitabilmente, all’interno di una sarabanda di colpi di scena più o meno prevedibili, convergono nel coinvolgimento umano e socialmente, fors’anche deprecabile, tanto la fame che la paura, quanto le diuturne messinscene nel tentativo di bilanciare effettivi limiti ed altrettanto legittime aspirazioni.

 

L’impianto del lavoro di Scarpetta è rispettato, l’ambientazione è più che mai attuale ed il risultato è garantito da una molto accorta regia dello stesso Giuseppe Miale Di mauro alla quale fa da ottimo sostegno una splendida coreografia opera di Elisabetta Persia.

Un lavoro tutto da vedere, che resterà in cartellone fino al prossimo 7 gennaio 2018.

Andrea Gentili

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