Tiziana Foschi ed Alessandro Mancini con Marco Falaguasta protagonista mettono in scena al teatro della Cometa di Roma un nuovo spettacolo, un monologo intitolato “Neanche il tempo di piacersi”.
E’ una stand-up comedy nel quale il noto attore romano, protagonista di molte serie tv di successo Rai e Mediaset come “Il restauratore 1 e 2”, “Distretto di polizia”, fino all’ultima “L’amore strappato», e di soap tv come “Incantesimo” e “CentoVetrine”, si cimenta con le modalità dello storytelling, in una satira divertente ed impietosa della nostra società, dei nostri costumi e dei rinnovati linguaggi, dai quali noi “adulti” siamo sempre più spesso tagliati fuori.
Ne esce un racconto divertente e arguto che diventa cronaca dei nostri tempi, nel quale ognuno di noi avrà modo si riconoscersi dal titolo, che si preannuncia veramente interessante data la statura del protagonista, “Neanche il tempo di piacersi” che allude a come ci si approccia con facilità sui social, senza corteggiamento, e alle incomprensioni che scaturiscono tra genitori e figli, tanto da non avere il tempo di piacersi.
Dice Tiziana Foschi, che del lavoro è l’ottima regista: “Marco approda senza più indugiare nella stand-up comedy. L’attore è per l’appunto in piedi sul palco e parla direttamente al pubblico abbattendo la consacrata quarta parete. In ‚Neanche il tempo di piacersi’, abbiamo voluto dare un’ambientazione e un tappeto narrativo tra le riflessioni e la satira sociale” ed aggiunge: “C’è, in questo spettacolo, ancora un gusto per la teatralità e l’effetto scenico. Chi l’ha detto poi che la commedia si fa solo in un modo e la stand-up comedy solo in un altro? Marco non rinuncia alla sua formazione e affronta in modo del tutto personale lo stare sul palco. Si ride molto se posso tranquillizzare gli amanti del puro divago, e ci sono momenti teneri dove Marco mette a nudo tutta la sua fragilità e un sentirsi spesso inadeguato. Sono cinque anni che lavoro con questo artista: paziente e creativo, che mette con grande fiducia nelle mie mani l’immagine del suo modo di comunicare, dimostrando una grande sensibilità tutta al femminile, direi inaspettata”.
“Tutto è nato dalla mia esperienza di genitore — racconta Falaguasta —. Pur vivendo e lavorando su parole e relazioni, mi sono scoperto jurassico e anacronistico nella relazione con i miei figli e il loro mondo. E sempre più spesso, invece di provare a comprendere i loro codici, mi scopro a giudicare i ragazzi e ad attribuire a loro la colpa delle nostre difficoltà d’interazione”.
Noi che siamo stati ragazzi spensierati e felici negli anni ’80, gli anni del boom economico del quale respiravamo l’ottimismo e la positività, siamo diventati genitori in questi tempi pieni di incertezze, instabilità ma anche di progresso e connettività. Cosa ci portiamo dietro di quegli anni, quanto è rimasto in noi di quello sguardo positivo con il quale aspettavamo il futuro?
Come le nuove tecnologie e procedure che i nostri figli utilizzano con disinvoltura, si sono inserite e hanno condizionato le nostre abitudini e il nostro modo di vivere la quotidianità? Quante volte ci siamo scoperti a pensare che eravamo meglio noi, con le nostre telefonate dal fisso o dalla cabina telefonica, le feste il sabato pomeriggio a casa con i genitori che controllavano.
Noi che per comprare parlavamo con il commesso e non con il corriere. Però, magari, un secondo dopo, ci scopriamo a usare le app per noleggiare la macchinetta del car sharing. Noi che, tutto sommato, siamo un po’ permalosi quando ci sentiamo dire dai ragazzi che non siamo abbastanza “social” perché pubblichiamo male, troppo, troppo poco, con hashtag sbagliati. Noi che cominciamo a diventare sbagliati. Si, proprio così. È complicato ammettere che le nostre abitudini, soprattutto di pensiero, stanno diventando vecchie. È complicato accettare che dobbiamo essere noi ad avanzare verso loro e non pretendere che siano loro a tornare indietro verso noi.
Noi, i ragazzi degli anni ‘80, con quel sorriso sempre stampato sul viso, noi non ci saremmo dovuti cadere! Noi, no. E invece eccoci qui a commentare, a lamentarci, a fare pensieri da cinquantenni. Ma com’è possibile, che proprio noi …siamo diventati cinquantenni? Eppure, se facciamo i conti, tutto torna. Allora tanto vale ridere di noi, così, forse, si rimane un po’ più giovani.
Andrea Gentili