Aspettando Godot al teatro Ghione di Roma

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E’ in scena al teatro Ghione fino al prossimo 14 aprile la rappresentazione di un dramma di Samuel Beckett indicato dalla critica come il lavoro teatrale più significativo di tutto il novecento  che in termini onirici e drammaticamente assurdi intende descrivere la condizione umana dell’“attesa”, un’attesa che ha dell’inutile e che fonde insieme disperazione e speranza. 

I due personaggi principali, Vladimiro ed Estragone, vestiti come barboni aspettano, sotto un albero l’arrivo di un certo signor Godot lamentandosi per il freddo e  per la fame, per la loro condizione esistenziale: litigano tra loro arrivando addirittura ad inventarsi un suicidio che sanno perfettamente che non compiranno; ma restano indissolubilmente legati l’uno all’altro continuando a discutere in modo sconclusionato, superficiale di argomenti di una tale inutilità da spiegarsi, in tal modo, tutto il non senso della umana natura.

L’indissolubilità della loro condizione è sottolineata dall’entrata in scena di altri due personaggi: Pozzo (un eccezionale, come sempre, Edoardo Siravo ) e Lucky (convincente Fabrizio Bordignon nei panni del servitore), rispettivamente il proprietario del terreno sul quale si svolge il dramma ed il suo servitore, il primo crudele ed insieme dotato di un senso del pietismo alquanto originale, il secondo, carico di bagagli, tenuto al guinzaglio con una lunga corda a significare, come per i primi due protagonisti, il legame indissolubile che inevitabilmente li lega.

L’azione si anima con l’arrivo di un ragazzo che annuncia ai quattro che il signor Godot, quel giorno, non arriverà: mentre Pozzo ed il servo escono di scena Vladimiro ed Estragone riprendono i loro dialoghi sconclusionati e qualche volta addirittura infarciti di un tal senso del comico introdotto dalla consumata abilità di un grande regista quale è Maurizio Scaparro che la sensazione tipicamente beckettiana di dramma latente non scompare ma viene addirittura esaltata.

I due continuamente si propongono di “muoversi“ mentre continuano a “non” muoversi, evidenziando ancor più il centralismo del dramma della frustrazione derivante dal fallimento del tentativo di assumere qualsiasi iniziativa, per cambiare la propria posizione all’interno dell’intero genere umano.

Molto apprezzata la scelta di Scaparro nel proporre in modo tutto suo il senso della vita attraverso lo scorrimento del tempo che induce alla speranza, distraendo il sempre latente pensiero dalla morte.

Tutti gli interpeti in scena, da Antonio Salines a Luciano Virgilio, da Edoardo Siravo a Gabriele Cicirello a Fabrizio Bordignon assolvono egregiamente alla loro funzione, rappresentando a puntino ed in maniera rilevante il senso di frustrazione e di abbandono che caratterizza i personaggi da loro interpretati.

 

La scena di Francesco Bottai appare assolutamente in armonia con la regia di Scaparro e la combinazione dei due elementi dà vita ad uno spettacolo affascinante, assai comprensibile nella sua difficoltà interpretativa, tendente a significare sempre più la simbiosi drammatica che unisce i due protagonisti nella ricerca di una vita che non vogliono trovare e che, in fondo, neppure sembrano cercare. Tanto, nell’attesa di un Godot che non arriva, non cambia nulla.

Andrea Gentili

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