Il Servo di scena di Maurizio Micheli

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E’ in scena in questi giorni al Teatro Quirino di Roma, fino al 20 febbraio, Servo di scena (The Dresser), commedia scritta da Ronald Harwood nel 1979, diretta da Guglielmo Ferro. Protagonista è Geppy Gleijeses che interpreta Sir Ronald. Con lui, come servo di scena, Maurizio Micheli. Visum lo ha intervistato.

E’ in scena in questi giorni al Teatro Quirino di Roma, fino al 20 febbraio, Servo di scena (The Dresser), commedia scritta da Ronald Harwood nel 1979, con protagonisti  Geppy Gleijeses che interpreta Sir Ronald e Maurizio MIcheli che è il Servo di scena.

Maurizio Micheli, noto attore comico e autore di pièce, come Mi voleva Strehler, scritta con Umberto Simonetta, in scena da anni con successo, in cui ricorda i suoi anni al Piccolo Teatro di Milano è ultimamente tornato in scena, post pandemia con la divertente pièce, Amore mio aiutami, a fianco di Debora Caprioglio, tratta dal celebre film che vedeva protagonisti Alberto Sordi e Monica Vitti. Visum ha intervistato Maurizio Micheli che, a giugno prossimo, festeggerà 52 anni di carriera.

L’anno scorso nel corso della conferenza stampa di presentazione della stagione del Quirino, lei disse “Io generalmente faccio ridere”. Ma, nonostante tutto, questo Servo di scena, una commedia tragica, qualche sorriso, seppur amaro, lo strappa, specialmente da lei. E’ così?

Beh c’è quell’humour inglese, malgrado il dramma. Qui c’è quasi un moribondo che va in scena, Sir Ronald, c’è un’ironia inglese del testo. Alla base c’è indubbiamente il dramma – spiega a Visum Micheli –  la difficoltà di lavorare durante i bombardamenti dell’ultima guerra. Forse un po’ la situazione è paragonabile a quella di oggi con la pandemia. Non ci sono, per fortuna, i bombardamenti, ma il teatro ha sofferto quasi due anni e ancora patisce. Gli abbonati sono meno di prima ed è sempre pur faticoso lavorare”.

Chi è Norman il personaggio che interpreta?

E’ un vestiarista, un uomo che accudisce, veste, si prende cura di un pazzo innamorato di sé stesso, che si adora, bizzoso e Norman subisce i suoi scatti d’ira, i suoi cambiamenti d’umore. C’è un amore-odio con questo padre-padrone. Il servo di scena è omosessuale e si crea quasi una storia d’amore non corrisposta”.

 

Il servo di scena era una figura fondamentale nel teatro inglese di una volta. Oggi esiste ancora questa figura?

No, questa figura non c’è più. Poteva essere il suggeritore di una volta, negli Anni 30 e 40”.

Lei ha qualche caratteristica, qualche affinità con Norman?

No, di Norman non ho nulla, forse in qualche momento esce fuori una certa ironia che mi appartiene, ma non di più. Come attore interpreto un personaggio diverso da me. Il bello di fare l’attore è che si vivono altre vite, interpreti un personaggio, poi ne esci e sei pronto ad interpretarne un altro”.

 

 

Come si è trovato a lavorare con Geppy Gleijeses e Lucia Poli?

Molto bravi entrambi, li conosco da trent’anni, ma non mi era mai capitato di lavorare con loro. Sono molto professionali – sottolinea Micheli –  molto uniti. In teatro devi essere credibile nel ruolo che interpreti, devi diventare quel personaggio che ti hanno assegnato. E, sia io che loro, sembriamo adatti nei nostri ruoli”.

 

La pandemia ormai sta scemando. Secondo lei il pubblico ha più o meno voglia di teatro?

Sì ha voglia, ma con cautela, ancora c’è una certa paura che serpeggia, nonostante i teatri siano sicuri. Diciamo che la voglia c’è, ma ancora siamo lontani dai pienoni degli anni prima del Covid. Speriamo che il futuro sia più roseo. Il pubblico si muove con preoccupazione, ormai c’è l’abitudine al distacco da altre persone. E’ strano, ma se si vuole continuare a fare questo mestiere si può solo sperare”.

La comicità è difficile. Cosa serve per far ridere oggi?

Ah, lo sapessi. I meccanismi della comicità sono tanti. Ad esempio, io satira politica non la pratico, si deve ridere su storie umane, sull’umanità. Si può creare una situazione comica su certi uomini particolari e poi commentare il tutto ridendoci su”.

Da spettatore cosa non le piace del mondo dello spettacolo in genere e del teatro in particolare?

Non mi piace lo scarso interesse per il teatro, è messo sempre in secondo piano, mentre ci sono intere pagine sulla televisione e sui personaggi televisivi, seppur alcuni non siano all’altezza. Il teatro, purtroppo, è diventato una nicchia, un qualcosa per amatori. Anche il cinema oggi – dichiara – si fa per la televisione, molto televisivo e le sale sono vuote. Per non parlare del teatro fatto in streaming. E infatti è durato poco. Non c’è niente da fare: il teatro va visto a teatro. Ogni sera c’è un’emozione diversa, ogni serata teatrale è unica”.

Ha un rimpianto professionale?

Avrei preferito fare più film di quelli che ho fatto, solo una quarantina”.

Cosa consiglierebbe ai giovani aspiranti attori che vogliono intraprendere la sua professione?

Prima di tutto studiare perché questo è un mestiere che non s’improvvisa. Se uno cerca la carriera a tutti i costi, la visibilità, allora è meglio che si butti sulla televisione. Se un attore è bravo verrà apprezzato pur facendo solo teatro; per intraprendere questo mestiere ci vuole passione e talento. Niente deve essere lasciato all’improvvisazione. Purtroppo oggi chiunque crede di poter fare l’attore o l’autore. E’ un lavoro che io ho sempre fatto con passione, studiando e perfezionandomi, pur facendo questo mestiere da una vita”.

 

 

Progetti futuri?

Fino ad aprile, dopo Roma, saremo in tournée con Servo di scena; dopo dovrei riprendere l’altro spettacolo teatrale, Amore mio aiutami, con Debora Caprioglio. Poi non so più niente. Si vedrà”.

Giancarlo Leone

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