Le allegre comari di Windsor in scena al teatro sala Umberto

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E’ andato in scena al teatro sala Umberto di Roma versione riveduta e corretta de “Le allegre comari di Windsor” per la regia di Serena Sinigaglia e l’adattamento di Edoardo Erba.

A proposito di questo lavoro che terrà il palcoscenico del Sala Umberto fino al 26 febbraio, mi permetto di pensare che se William Shakespeare avesse potuto immaginare che la sua commedia, risalente alla fine degli anni 1500, potesse essere sintetizzata dai cinque atti da lui impiegati per descrivere una vicenda nemmeno tanto complessa, in un lavoretto della durata di meno di due ore e che il cospicuo numero di personaggi che componevano l’edizione redatta dal commediografo inglese, venisse ridotto a soli cinque personaggi in scena (diciamo quattro e mezzo perché uno, anzi una, è sostanzialmente di contorno in palcoscenico, anche se si esibisce in brevi intermezzi a suon di fisarmonica ), avrebbe ben da protestare per la diminutio capitis alla quale è esposta l’edizione della quale è autore Edoardo Erba.

Con la regia di Serena Sinigaglia, cinque personaggi che dovrebbero coprirne diciotto, all’interno di una vicenda assai più complessa ridotta ai minimi termini, cinque donne in scena a rappresentare sinteticamente quanto per le signore Ford e Page, soggette a solleciti amorosi da parte di uno squattrinato ( Sir John Falstaff) sia motivo di occupare parte del loro inutile tempo in complotti, ai quali non vorrebbero far partecipare i relativi mariti per prendersi la rivincita sullo squattrinato reo, di aver inviato ad entrambe la stessa lettera non di amore, ma di puro e ridicolo tentativo di conquista a fini economici.

Naturalmente, le due donne, tra loro in concorrenza come possono esserlo soltanto due perditempo (una, per la verità è impegnata a cercare un marito per la figlia), giusto per tener fede alla natura “ “riservata” delle due identiche lettere del quale è autore Falstaff, si confessano reciprocamente di averle ricevute e progettano un piano per vendicarsi dell’affronto, pur sentendosi sotto-sotto lusingate delle attenzioni dello squattrinato.

Intanto, la figlia della signora Page per la quale la madre cerca un marito, se la spassa nientemeno che con la suonatrice di fisarmonica (che nella commedia originale ha un preciso nome maschile, Fenton) non consentendo al pubblico di capire il perché una parte prettamente maschile, venga coperta da una bella signora che risponde al nome di Giulia Bertasi.

In tutto questo l’unico mistero quasi indecifrabile l’unica certezza appare essere la fantesca della famiglia della signora Ford, invadente ed eccessivamente partecipativa, una donna di servizio che gestisce una cesta di panni a similitudine della cesta nella quale, nella commedia vera, si nasconde il gigolò da strapazzo che continua a cercare soldi e che verrà, ma qui non è dato assistere alla scena, gettata nel Tamigi insieme al contenuto, il ridicolo e ciccione signor Falstaff.

 

Nessun accenno agli imbrogli messi in atto dalla figlia della Page, Anne, per sposare la suonatrice di chitarra (che continua indefessamente ad interpretare la parte maschile di Fenton , ma soltanto salaci commenti di dame in cerca di vincere la noia di una cittadina dove tutti sanno tutto di tutti; quattro brave attrici che rispondono ai nomi di Mila Boeri, Annagaia Marchioro, Chiara Stoppa e Virginia Zini molto impegnate (e pure brave) ad interpretare un lavoro che non merita molto, una scena necessariamente ridotta ai mini termini.

Manca, e si sente, il finale shakespeariano: un “volemose bene“ alla romana al quale partecipano tutti i personaggi che dovrebbero comporre l’intero staff previsto dall’autore inglese, del quale viene chiamato a far parte anche il “perdonato” signor Falstaff, che da personaggio ridicolizzato ma non troppo, per come previsto nella commedia di fine 1500, venne elevato da Giuseppe Verdi a protagonista di una delle sue opere più conosciute e che, diversamente da quanto in essa opera previsto, si trova ben lontano da quell’Inferno nel quale auspicava venisse a trovarsi il cornificando marito della capricciosa signora Ford.

 

 

Nessun accenno, in scena, ai folletti che caratterizzano e rendono più interessante il lavoro di Shakespeare.

Applausi al termine.

Andrea Gentili

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