Remi di Antoine Blossier

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Tra i classici di sempre della letteratura per ragazzi, il Senza famiglia di Hector Malot è un tipico esempio di romanzo figlio del proprio contesto storico – la Francia di fine ‘800, col suo perdurante, spietato classismo – che tuttavia non smette di parlare a tutte le generazioni. Un libro, quello di Malot, che ha visto negli anni vari adattamenti cinematografici, ma che la generazione dei quarantenni di oggi ricorda soprattutto per la serie anime Remi – Le sue avventure, risalente al 1977 e arrivata in Italia, con grande successo, due anni dopo.

È proprio all’adattamento animato che andrà, inevitabilmente, la memoria di una larga fascia di pubblico di fronte a questo nuovo Remi, diretto dal francese Antoine Blossier e interpretato da un invecchiato Daniel Auteuil nel ruolo del maestro di strada Vitalis. In questo senso, il film di Blossier si inserisce in una tendenza che comprende anche il recente Belle & Sebastien di Nicolas Vanier (coi suoi relativi sequel), e la versione di Heidi di Alain Gsponer, interpretata da Bruno Ganz. Tutti esempi di adattamenti di celebri romanzi per ragazzi, che hanno trovato una nuova giovinezza tre-quattro decenni fa grazie alle relative versioni animate.

La vicenda dell’orfano Remi, costretto dalle dure condizioni della famiglia adottiva a seguire l’artista di strada Vitalis attraverso la Francia, viene riesumata qui con un approccio che, pur non arretrando di fronte a un sostanziale realismo, si colora sovente di toni fiabeschi ed evocativi. La scelta della “cornice” della storia, quella di un Remi anziano che, nella notte, racconta la sua vicenda a un gruppo di ospiti del suo ricovero per orfani, non fa che sottolineare il mood da “c’era una volta” dato al film. Un mood confermato dalle dichiarazioni dello stesso regista, che ha inserito i film di Steven Spielberg e Tim Burton tra i suoi modelli di riferimento.

Pur prendendosi alcune libertà rispetto al testo originale, in primis nell’estensione della storia – quattro anni nel romanzo, solo un anno qui – questo Remi ne restituisce il carattere in parte elegiaco e di rievocazione nostalgica, in parte figlio del realismo dell’epoca, teso a fornire un affresco della rigida divisione in classi della Francia (e dell’Europa) ottocentesca. In questo senso, non mancano i momenti aspri, specie nella parte iniziale, quella in cui il protagonista viene di fatto scacciato dalla sua famiglia adottiva dal patrigno, e in quella dell’approdo presso i Driscoll, con la rappresentazione a tinte forti della famiglia di impostori.

Film pensato per un pubblico di famiglie, occhieggiante ai quarantenni più per un’estetica favolistica e improntata alla meraviglia visiva, che per eventuali rimandi diretti alla serie animata, il Remi di Antoine Blossier è un esempio di opera confezionata con intelligenza, capace di adattarsi agli spettatori del 2019 senza stravolgere i connotati del romanzo ispiratore. La dimensione del viaggio, col suo doppio binario di scoperta e perenne precarietà esistenziale, oltre a quella del romanzo di formazione, sono ben presenti nella storia, sotto una confezione accattivante, a volte ammaliante (vedi la lunga sequenza della tempesta di neve).

Il film di Blossier ha forse il limite di esibire troppo la sua componente melò in larghi tratti della trama, complice un commento sonoro a tratti un po’ ridondante. Lavorare in sottrazione nella parte centrale del film, avrebbe certo giovato al tono realistico che la storia, malgrado tutto, vuole mantenere. Ci si potrebbe inoltre soffermare sulla discutibile scelta del minutaggio – circa 105 minuti – con l’inevitabile necessità di sintesi di una vicenda elaborata ed estesa. Restano limiti che, comunque, non inficiano nella sostanza la riuscita di un film che fa esattamente ciò che si era proposto, restituendo una visione fresca e “viva” di una storia da tempo impressa nella memoria collettiva.

Marco Minniti

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