Ciao, in scena al Teatro Quirino

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Gli è apparso in sogno, un sogno pieno di colori, di immagini nemmeno tanto sfuocate, certamente vive e quasi parlanti: è Vittorio Veltroni, il padre dell’autore del libro che porta lo stesso titolo del bel lavoro di Piero Maccarinelli che è in scena, per opera della Fondazione teatro della Toscana, al Teatro Quirino Vittorio Gassman  e che vede impegnati in una recita al limite del patetico ma anche dello storico un bravo Massimo Ghini nei panni dell’autore del libro, sostituito per alcune recite da Stefano SantoSpago, e Francesco Bonomo in quelli del padre tanto evocato dal figlio.

Come è noto Walter è un apprezzato uomo politico, protagonista della recente storia italiana che con la sua opera “Ciao” edita da Rizzoli intende descrivere tra l’altro come il nostro paese dal dopoguerra ad oggi, si sia trasformato: uno scanning operato attraverso la radio e la televisione del quale il padre era un importante cronista.

Questo atto unico descrive in poco più di un’ora di spettacolo a scena fissa il fantastico incontro, materialmente mai avvenuto, tra un padre morto troppo giovane ed un figlio che della sua mancanza ha tanto risentito, fino al punto di trasformarlo, sulla scena – con una interessante inversione dei ruoli – in un padre anziano che intervista il figlio ormai giunto alla soglia dei sessant’anni. Sessant’anni pienamente vissuti che gli sono derivati anche dalla eredità che comunque il genitore gli ha lasciato attraverso la creazione di un ponte tra persone e storia, un ponte fatto di tanta dolcezza e tale da inserire nella mente del ragazzo orfano la memoria di un padre del quale ha soltanto sentito parlare.

E certamente il bravo Massimo Ghini sa trasmettere allo spettatore le emozioni e le malinconie che il Walter attuale prova: un senso di malinconico atteggiamento verso la vita ma anche una incrollabile voglia di reagire scherzando su se stesso, una profonda ammirazione verso sua madre che con lui ha provato il dolore della scomparsa del loro uomo, una forse inconsapevole ricerca delle proprie radici, una conclusione sostanzialmente razionale, che ne costituisce la morale: la realtà della vita è cruda, ma è quella e non altre.

Questa morale viene egregiamente descritta dalla accorta regia di Pietro Maccarinelli come pure il personaggio di Vittorio, il padre, viene sapientemente interpretato dal bravo Francesco Bonomo che riesce, da esperto quale è, ad evidenziare la mancanza di un vero e proprio punto di riferimento per il figlio, che riesce a formarsi comunque malgrado viva negativamente l’assenza di quell’appiglio che ogni padre sa, per dono naturale, donare ai suoi figli.

Il dialogo tra i due personaggi in scena è tale da evidenziare come un padre ed un figlio, sebbene tra loro sconosciuti, sentano istintivamente di amarsi, di vivere virtualmente un rapporto di intimità, di scontro a volte, ma comunque estremamente sentito generalizzando quel sentimento innato che è il rapporto tra due generazioni.

Da ultimo, l’omaggio di Walter al padre Vittorio, uomo a suo tempo di chiara fama giornalistica costituisce in realtà la ricostruzione di una carriera che il figlio non ha potuto condividere ma che, sulla base dei racconti degli amici, ha potuto “vivere” traendone grande esempio fino a portarlo a quei vertici di fama per i quali lo conosciamo oggi.

Contribuiscono alla buona riuscita del lavoro le scene di Maurizio Balò (un salotto tappezzato di libri ed i pini di Roma che si intravedono dalle finestre) e le luci di Umile Vainieri.

Andrea Gentili

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