L’uomo dal fiore in bocca… e altri strani casi

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Come sempre Pirandello è la rappresentazione del dubbio, dell’imprescindibile, dell’incerto e del certo al tempo stesso: lo dimostra il bravissimo Edoardo Siravo ne “L’Uomo dal fiore in bocca”, il lavoro del drammaturgo siciliano che Patrick Rossi Gastaldi, sta portando in scena dal 23 scorso al Teatro Ghione, con una eccezionalmente grande interpretazione di ben tre personaggi che hanno in comune, stavolta, la follia.

 

Ed è una follia che parte con uno straordinario mix di cinque novelle ed alcune poesie per giungere fino alla conclusione, drammatica, che l’uomo è sopraffatto dal desiderio di morire sebbene ne abbia un invincibile terrore, perché assolutamente convinto che quando non gli è possibile introspettarsi, quindi di non controllare da dentro la propria vita, è come se non la vivesse più, subendola. L’unica cosa che in tali condizioni è visibile è soltanto quel corpo materiale che resta di noi, un corpo non più spiritualizzato che desidera soltanto di morire.

Cinque pirandelliane novelle, si diceva: “La tragedia di un personaggio”, “Piuma”, “Pubertà”, oltre a “Da se”, e quella che dà il nome allo spettacolo “L’uomo dal fiore in bocca” più tre poesie:  “Notte insonne”, “Andando” e “Io sono così” che tanto Edoardo Siravo che le sue efficientissime “ spalle “ che rispondono ai nomi di Gabriella Casali, Stefania Masala e Patrick Rossi Gastaldi sanno esporre con grande professionalità e con l’acutezza necessaria ad interpretare quei tre personaggi dalla mentalità contorta che soltanto Pirandello è stato in grado di identificare nell’agone umano e nell’ambiente che lo circonda.

Tre personaggi: un avvocato folle, un re che non si rende conto della realtà che lo circonda, un condannato a morte che medita sul perché della sua esistenza sono questi i personaggi che convergono nella appassionata versione teatrale che terrà il cartellone fino al prossimo 3 dicembre e che rendono perfettamente l’idea il primo del senso di atroce impossibilità di esistere, il secondo ( re Enrico IV ? ) imprigionato nel meccanismo di una follia non si sa bene se vera o simulata, ma comunque aderente al suo ruolo che egli non intende abbandonare ed infine un povero folle ( ma raziocinante ) che, però, ragiona e riflette sul perché dell’esistere.

Il titolo del lavoro è effettivamente tutto un programma del quale, senza assistere alla rappresentazione, appare impossibile capire il significato ma il mix la cui regia è affidata al bravo Patrick Rossi Gastaldi è talmente ben servito che, riflettendo, facilmente si addiviene alla sua interpretazione ed alla scoperta della morale che esso contiene.

Per completare l’excursus su questo sotto certi aspetti esaltante lavoro che riesce ad indurre grande angoscia nello spettatore ed a farlo perdere, a volte, nella rada selva dei personaggi in scena e nelle loro contorsioni mentali, appare il caso di ricordare che tutta la programmazione del Teatro Ghione, egregiamente diretto da Roberta Blasi, è accessibile anche a spettatori non vedenti.

Andrea Gentili

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