Intervista a Piero Trellini

0
ntervista a Piero Trellini

Intervista a Piero Trellini. Lo scrittore è l’autore del romanzo intitolato “L’affaire – Tutti gli uomini del caso Dreyfus”, edito da Bompiani. Visum lo ha intervistato.

Intervista a Piero Trellini 

Racconti con la forma della narrativa fatti reali, per scrivere questo libro fitto di dettagli e “sopralluoghi” sei diventato un detective? La vicenda Dreyfus è per certi aspetti ancora un cold case? Tutto reale o hai inserito qualche elemento di fiction? 

Intervista a Piero Trellini

Il libro non romanza nulla, la materia è autentica. Ho solo utilizzato regole drammaturgiche per organizzarla. Molti dei personaggi o dei materiali non erano stati ancora affrontati in Italia, ma, al di là di questo, il libro non intende inseguire ossessivamente aspetti inediti, ma assecondare una sua personale follia. Non si limita a raccontare il caso nella sua impostazione classica. Esplora le viscere più profonde di quei personaggi, affronta episodi inconsueti e collega accadimenti lontani. Sebbene non stravolga la storia ha comunque una struttura libera, aperta ad accogliere ogni slancio creativo”.

L’autore di L’affaire – Tutti gli uomini del caso Dreyfus 

Quanto tempo hai impiegato a scriverlo e quale criterio hai adottato per la divisione in quarantanove parti?

Intervista a Piero TrelliniMolto, ma il tempo è un valore relativo, dipende da troppi fattori. È stato scritto sicuramente, con un approccio impetuoso. Perché questa matassa doveva essere continuamente domata. Per la sua struttura, ho cercato come sempre di ridurre una complessità in una serie di contenitori divisi a loro volta, in singole unità molto brevi, scattanti e, pur concatenate tra loro, autoportanti. Come approccio ho cercato di adottarne uno dall’alto, utilizzando ironia e compassione. Ma ho sentito spesso il desiderio di scendere a terra, per rubare frasi ed emozioni. Impresa resa possibile solo grazie al continuo incrocio di informazioni ricavate da lettere, diari, memorie e giornali”.

Per dodici anni Dreyfus ha affrontato con dignità attacchi e condanne. Secondo te è stata la sua formazione militare a dargli la forza di non cedere?

Alfred-DreyfusAlfred Dreyfus aveva una personalità ordinata ma complessa. Era predisposto alla vita militare per vocazione, intenti e ideali. Ma era anche un marito devoto e un padre affettuoso. E la cosa a cui più teneva per sé e per la sua famiglia era l’onore. Fu dunque la ricerca dell’onore perduto a tenerlo in piedi. Sarebbe stato insopportabile per lui l’idea di avere dei figli “marchiati” a vita perché considerati figli di un traditore”.

L’affaire Dreyfus danneggia i pittori impressionisti

Il libro inizia comincia le ninfee di Monet e mentre il pittore con Cezanne, Mirabeau e altri amici ammira la chiusura dei fiori sul lago, al ministero della guerra accadeva qualcosa che a breve avrebbe coinvolto anche loro?

Intervista a Piero TrelliniLe ninfee così come gli impressionisti sono una delle chiavi per capire cosa è stato l’affaire. Il libro inizia con un pranzo organizzato da Monet. Il pittore invita a casa sua Cezanne, Clemenceau, Mirbeau, Geffroy e Rodin (Zola quel giorno è a Roma) a vedere le ninfee. In quelle stesse ore una incauta dichiarazione del ministro della guerra fa scoppiare l’affaire e in qualche modo quel pranzo è l’ultimo momento felice. Presto, infatti, tutti loro dovranno decidere da che parte stare. Quando l’affaire esplode il gruppo si divide: Monet e Pissarro da una parte, Degas e Renoir dall’altra. “Anche Cezanne chiude con il suo maestro Pissarro”.

L’affaire danneggia irreparabilmente tutto il movimento impressionista. Costringe gli artisti del gruppo a fare i conti con se stessi, portando a galla le loro differenze più recondite e ponendo fine definitivamente alla loro era. Tutti loro, poi, erano figli di Zola, che da giovane li aveva fortemente aiutati. Eppure anche Cezanne, suo amico dai tempi della scuola, gli volta le spalle. Disgustato dagli eventi, Monet smette di dipingere per diciotto mesi. Quando riprende non ritrae più vedute francesi. Abbassa la testa e dipinge solo ninfee. Non faràaltro per il resto della vita, ma produrrà capolavori. Quelle ninfee sono dunque il frutto dell’affaire. Perché quel caso è riuscito anche a creare bellezza”.

Gli anni dell’affaire Dreyfus furono anni di grandi cambiamenti

Gli anni dell’affaire furono anche di grandi cambiamenti e invenzioni, quanto influì la vicenda sulla “rivoluzione” di quel periodo?

La legge sulla stampa, la riforma dell’istruzione e i progressi tecnologici creano gli attori – giornalisti e lettori – e insieme i presupposti della vicenda. L’affaire si pone al centro di una clessidra. Esiste in funzione di un passato che sembra preparato su misura per la sua creazione e a sua volta esso stesso si fa ispiratore, se non creatore, di nuove forme”.

La modernità e attualità del caso sono evidenti, è cambiato tutto ma non è cambiato nulla?

Intervista a Piero TrelliniC’era già tutto. La rete, i social, le distorsioni. Anzi, il nostro presente vide la luce proprio allora grazie a un’incredibile concatenazione di fattori innovativi. Ai tempi dell’affaire, nel giro di un pugno di anni, nacquero la lampadina, la radio, il telefono, il cinema e la macchina da scrivere. Tutto quello che oggi è contenuto nei nostri smartphone. Certo, applicazioni e compattezza rendono ora le nostre azioni più immediate, ma le strategie nascoste dietro i messaggi che scorrono su quegli schermi rimangono le stesse. Perché i nostri più intimi parametri, sembra incredibile, non sono cambiati”.

“La rete esisteva già all’epoca derl Caso Dreyfus era quelle delle ferrovie”

Intervista a Piero TrelliniSe ci pensiamo la ‘rete’, allora, esisteva già. Era quella delle ferrovie. Il loro sviluppo aveva diffuso le informazioni in tutte le province della Francia. Ma era stato con il telegrafo elettrico che la velocità aveva superato se stessa accarezzando il ‘tempo reale’. Ci avrebbero pensato poi i lettori a rendere le notizie ‘virali’. Fulcro della ‘socializzazione’ erano i salotti. C’era, ad esempio, quello dreyfusardo di Madame Straus, nel quale erano di casa Marcel Proust e Joseph Reinach o quello antidreyfusardo della contessa “Gyp”, dove si ritrovavano Edgar Degas e Paul Valéry. Da quei divani, poi, le notizie si propagavano per la città a velocità impensate (le “mail” si scrivevano continuamente, solo su carta da lettera, e la posta urbana, tramite la rete pneumatica sotterranea, funzionava in maniera eccellente) grazie soprattutto all’opera incessante degli ‘influencer’. Se Zola lo fu per gli Impressionisti incompresi e per gli intellettuali impegnati, a persuadere il fronte opposto fu un giornalista di nome Édouard Drumont.

Cristina Marra

 

Nessun commento