Dal 15 febbraio 2019 alla GAM di Torino si può ammirare il nuovo allestimento della Collezione del Contemporaneo di artisti italiani tra gli anni sessanta e ottanta del Novecento, mettendo insieme artisti che in modo strettamente contemporaneo, non hanno disdegnato la loro cultura di base. Curatrice Elena Volpato.
Negli anni ’60 quando la ricerca artistica rifiutava i tradizionali linguaggi dell’arte dove la scultura e la pittura dovevano essere considerati sorpassate, alcuni artisti in modo estremamente contemporaneo non hanno negato del tutto il passato. Gli artisti in mostra, benchè non siano uniti dallo stesso modo interpretativo, hanno in comune una solida base con la storia. Siano essi facenti parte dell’arte povera, altri della pittura analitica, altri ancora dello spazialismo, inevitabilmente hanno riflettuto sui linguaggi tradizionali e su antiche regolamentazioni rilevanti.
Tutte queste opere hanno in comune una differente sensibilità verso la pittura e la scultura pur riflettendo sugli elementi che si trovano all’inizio della loro storia artistica. Le opere esposte nella prima parte del percorso appartengono a Spagnulo, Gastini, Paolini, Olivieri, Verna, Marisa Merz e Griffa. Iniziando con Giuseppe Spagnulo si vede come dal 1978 crea mediante il ferro un’opera che considerata minimalista, ha in sé le basi del gesto scultoreo, in risposta a quello pittorico di Mario Gastini con le sue macchie alla fine anni ’60.
Giulio Paolini indica nella tela bianca su tela grezza, lo spazio vuoto, immagine del tempo, mentre le tele di Claudio Olivieri e quelle di Claudio Verna portano la pittura a un solo colore come elemento primario. I due gesti scultorei di Marisa Merz e quelli di Alighiero Boetti nascono da materiali non tradizionali piegati come volumetrie antiche. Artisti del gruppo dell’Arte povera sono Paolo Calzolari, Giovanni Anselmo e Luciano Fabro. Calzolari e Anselmo fanno pittura, il primo con Senza titolo del 1968 con il rettangolo di tela bianca. l’altro tra pittura e scultura. Fabro invece con Attaccapanni del1976-77 si colloca nel gruppo di sculture che hanno una sensibilità pittorica.
Icaro e Mattiacci si dedicano allo Spazio con le opere che si muovono all’interno e all’esterno della composizione. Icaro partendo dalla base metafisica del gesto con le opere del 1982 come Innesto e Davanzale per un colore, mentre Mattiacci nella Scultura mummificata del 1972, impiega l’antica tecnica dei calchi dei libri, rendendoli illeggibili. Bagnoli e Parmeggiani, uno con il suo disegno automatico come in Vedetta notturna del 1986 e l’altro con Ab Olimpo del 1977 che ricorda gli impluvi circolari dell’antichità creano l’immagine assoluta del vedere. Nagasawa con Eros, la forma pura dei solidi platonici. Mainolfi e Ontani fanno emergere al loro interno l’evidenza e la rappresentazione.
Mario Merz, Salvo, La Rocca, quella della figura. Merz con il suo espressionismo primordiale in Animale terribile del 1981, si contrappone al disegno di Salvo con il mamo L’uomo che spaccò la statua del Dio del 1972, mentre la scrittura visiva di Ketty La Rocca si muove attorno al profilo mosso da una Pietà di Michelangelo, così come i 99 disegni di Mainolfi che sono un basamento del disegno illustrato del 1976. Di calchi e autoritratti vive l’opera di Luigi Ontani come in DadaAndrogeniErmete del 1987. Nell’ultima sala si incontrano pittura e scultura. Gli affreschi di Franco Guerzoni nascono da schemi accidentati dalle stratificazioni di una vita, che emergono sulle mura di case in rovina, mentre nella casa di Valentini c’è lo spazio che accoglie il tempo. Questo per sommi capi perché il tutto è chiarito nella dotta spiegazione della curatrice nella presentazione.
Anna Camia