Il castello di Rackrent di Maria Edgeworth

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Lunedì mattina Avendo deciso di mia volontà, per amicizia verso la famiglia sulle cui proprietà (sia lodato il cielo!) io e i miei viviamo senza pagare canoni d’affitto da tempo immemorabile, di pubblicare questo Memoriale della Famiglia Rackrent, credo sia mio dovere dire qualche parola, in primo luogo, su me stesso. Il mio vero nome è Thady Quirk, anche se presso la famiglia sono sempre stato chiamato semplicemente ‘l’onesto Thady’”. Inizia così, con le informazioni essenziali, il romanzo di Maria Edgeworth, Il castello di Rackrent che Fazi Editore ha ripubblicato con la traduzione di Pietro Meneghelli.

 

Scritto nel 1800, è stato il primo romanzo di questa scrittrice inglese e ad oggi appare come una testimonianza storica di un’epoca lontana, di transizione e decadenza, della nobiltà irlandese. Volutamente impostato come un racconto biografico, Maria Edgeworth, preferisce assegnare ad un testimone fedele e silenzioso dalle umili origini, la descrizione non solo di un’aaristocratica dinastia ma di un’epoca intera.

 

La voce narrante di questo memoriale è appunto Thady Quirk ma il vero protagonista resta il castello (letteralmente “arraffa affitti”) che con la sua lenta decadenza caratterizza meglio di mille parole i profondi cambiamenti che investiranno la società irlandese. Il racconto scorre attraverso le parole pacate ma ironicamente irriverenti del fedele Thady, che evidenzia vizi (tanti ) e virtù (poche) dei suoi aristocratici  padroni, i Rackrent.

“Ora tutti avrebbero visto di che pasta era fatto Sir Patrick… Quando si installò nella sua proprietà, dette il più bel ricevimento di cui mai si fosse sentito parlare in tutto il paese… non ce n’era uno che riuscisse a tenersi in piedi dopo cena, se non lo stesso Sir Patrick, che poteva reggere più a lungo del miglior uomo d’Irlanda, per non dire dei tre regni”.

 

I Rackrent sono amanti del bel vivere e non propriamente gentiluomini “quell’ubriacone di Sir Patrick, quel litigioso di Sir Murtagh, quell’attaccabrighe di Sir Kit e quel trasandato di Sir Condy” così Thady descrive i suoi padroni. I suoi nobili signori sono infatti spendaccioni, traditori e decisamente disonesti e la loro fine non può che essere quella della rovina. Così il castello pian piano si sgretola insieme ad un’aristocrazia che giorno dopo giorno perde la sua ragion d’essere.

(…) e le note dei commercianti che arrivavano con ogni giro di posta, lunghe e voluminose, con conti estesi quanto il mio braccio, in sospeso da anni e anni; mio figlio Jason glieli fece consegnare tutti, ma Sir Condy rifiutò di leggere le lettere di sollecito, perché detestava i problemi e non si riusciva a costringerlo a parlare di affari, e così continuava a rimandare e rimandare, dicendo «sistemate la cosa in qualche modo, o dite loro di ripassare domani, o parlatemene qualche altra volta».  Ora, era difficile trovare il momento giusto per parlargliene, perché la mattina stava a letto e la sera era in compagnia della bottiglia; momenti nei quali nessun gentiluomo desidera essere disturbato.

L’editore londinese J. Johnson lo pubblicò per la prima volta al’inizio dell’Ottocento, anni in cui si destituiva il Parlamento di Dublino e si preparava l’unificazione tra Irlanda e Gran Bretagna e allora fu un grandissimo successo tanto che ne furono stampate ben cinque edizioni. A distanza di oltre 200 anni Il Castello di Rackrent è un’interessante testimonianza storica, ma anche e soprattutto un piacevolissimo romanzo.

Roberta Ferruti

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Giornalista free lance. Ha iniziato negli anni '90 come cronista collaborando con diverse testate locali e nazionali. Ha scritto per Avvenimenti, Paese Sera, Il Manifesto e L' Espresso. Ha lavorato con Vito Bruschini per Laservision Edizioni curando pubblicazioni su arte, cultura, musica e salute. Lo scorso anno ha intrapreso un lungo viaggio in solitudine sulle rotte dell'immigrazione che si è concluso a Riace. Nei suoi blog https://tralerigheweb.wordpress.com/ http://www.tralerighe.cloud/ racconta di questo lunga e toccante esperienza e di storie di immigrazione e accoglienza. Attivista Verde negli anni '80 e '90, da sempre sensibile alle tematiche pacifiste ed ecologiste, è coautrice di una recente pubblicazione de Il Poligrafo L' ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria a cura di Laura Cima e Franca Marcomin. Dal 2016 collabora continuativamente con Visum, dove cura la rubrica di Consigli per la lettura.

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