La prima volta che il dolore mi salvò la vita di Jon Kalman Stefànsson edito da Iperborea, è un testo che ingloba tre raccolte di poesie dell’autore ed una spassosa autobiografia.
La prima volta che il dolore mi salvò la vita di Jon Kalman Stefànsson edito da Iperborea
Le tre raccolte poetiche che lo scrittore islandese scrive tra il 1988 e il 1994 diventano La prima volta che il dolore mi salvò la vita (Iperborea) che ingloba anche una spassosa autobiografia, che percorre gli esordi letterari e la vita culturale che si respirava in quegli anni a Reykjavìk e Keflavìk.
I temi delle poesie di Jon Kalman Stefànsson
I temi di queste poesie anticipano quelli che saranno la linfa dei romanzi successivi e celebrano e indagano la potenza della letteratura, il senso dell’esistenza, i dubbi e le domande dell’essere umano.
La traduzione è di Silvia Cosmini
Anche se la poesia era ben lontana dal Jon di quegli anni giovanili, a eccezione di quella contenuta nella musica, “La volpe” del poeta Orn Arnarson è ripiegata dentro il suo portafoglio, poesia semplice e rivelatoria, prima o poi avrei cominciato a scrivere, ovvio, la scrittura avrebbe trovato il modo di salire in superficie, era solo questione di tempo. E arriva il tempo che la poesia prende il sopravvento su ogni altro scritto e dal 1988 non smette più di scriverne.
La sua città nativa ricorre spesso in questi versi di gioventù ripercorsi e sistemati, qui ho imparato il ronzìo della vita notturna e la cultura, i pilastri dello scranno del presente, e poi i tredici sentimenti per una donna, le poesie di buio e di luce, di ombre e di silenzi, di uccelli e di corvi.
Poesia e musica suonano insieme nelle opere di Stefànsson
Il titolo tratto da Strazio è un intimo ricordo legato al concetto di morte che diventa nell’autore bisogno di vivere, di assaporare ancora la bellezza. Poesia e musica suonano insieme nelle opere di Stefànsson e sono libere, senza limiti e costrizioni, non si possono addomesticare e sono come il nostro felino di casa che non nostro non sarà mai del tutto.
Cristina Marra