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Pietro Romano ricorda Raffella Carrà

Premetto che posso solo tentare di descrivere le mie sensazioni sulla grande signora Carrà mi viene in mente “Mamma Rai, quasi come riflesso incondizionato, essendo, probabilmente, la figura che più di ogni altra ha rappresentato la televisione pubblica. E aggiungo che se la Rai avesse un volto umano, avrebbe proprio quello di Raffaella, così come se avesse una voce, sarebbe la sua.  

L’inconfondibile suono della sua risata mi ha accompagnato per i miei quarantasette anni, come melodia familiare, coinvolgente, trascinante: una sorta di insolito, amatissimo, altro inno nazionale, insomma. Ricordare, poi, come affrontava il centro della scena, porgendo pose con irripetibile grazia, con l’eleganza di una étoile, dalle mani sui fianchi, al bacino leggermente proteso in avanti, mostrando in tv il primo ombelico, riuscendo ad eludere, evidentemente, anche la censura, in quegli anni estremamente accorta e scrupolosa.

 

 

Risuonano fino a commuovermi ancora le sigle dei suoi programmi, a tutti gli effetti quanto a cura delle inquadrature e bellezza delle coreografie, antesignani dei successivi videoclip che oggi imperversano sui canali musicali di tutto il mondo. L’abbiamo vista in bianco e nero e quando come per incanto divenne “a colori”, non subimmo alcuno sconvolgimento: quando appariva lei, lo schermo si illuminava comunque. D’altra parte, se non c’è luce non c’è colore. È il colore che necessita di luce non l’inverso. Ed è proprio questo che definisce il calibro di un artista.

Nel 2012 portai in scena uno spettacolo dal titolo un po’ fuorviante, “Lassateme passà so’… Romano!“, nel quale affrontavo la storia della televisione italiana dalla nascita (3 gennaio 1954) all’arrivo del colore, ed in più occasioni fu inevitabile citare la “mitica” Raffaella anche perché quasi tutta la parte musicale dello show era basata proprio sulle sigle degli storici programmi Rai a partire da “Canzonissima” (edizione del ‘70 e del ‘74): cantavo “Felicità-tata”, “Ma che musica maestro” e poi “Chissà se va”, “Gente matta”, “Tuca, tuca”…

Aver avuto quell’opportunità mi fece rivivere in piccolo un’emozione indescrivibile, portandomi a sognare – o sentire davvero, chissà… – di essere collega di Corrado, di Manfredi, di Panelli, di Chiari, di Fabrizi, di Bramieri… come se avessi fatto parte anch’io di quel magico ed irripetibile modo televisivo.

 

Raffaella Carrà era (e sarà!) gelosamente conservata tra le mie muse ispiratrici (affatto strano, sebbene non fossi una ragazzina), rammaricato di non averla potuta conoscere né di aver avuto occasione di lavorare con lei: eppure proprio in quella performance, in cui indegnamente e scherzosamente la imitavo, ebbi la gioia (e la fortuna!) di avere in sala il re della danza e della coreografia, il maestro Gino Landi, sorprendentemente “trait d’union” tra “Raffa” e me, che quella sera mi fece un invito: di lì a qualche mese debuttai con “Giochiamo all’Operetta”, che Landi scrisse e diresse… (e un po’ anche per questo, grazie, Raffa!).

 

…E ancora mi piace perdermi nel rivedere i momenti in cui a farla ridere, come solo lei sapeva fare, fosse il superlativo maestro Gigi Proietti, al quale chiedeva sempre le irrinunciabili barzellette, o colui che ritengo il “padre” della mia comicità, Jerry Lewis, che la signora Carrà aveva incontrato, intervistato, stimato, amato…

 

Raffaella Carrà è l’immagine assoluta ed indiscussa della signorilità dell’artista, la perfetta coniugazione tra talento e finezza, l’autentico binomio tra scena ed umanità… Il resto, che tutti proviamo con inesprimibile nostalgia della sua straordinaria, poliedrica bellezza, lascerò che siano altri autorevoli colleghi ad esprimerlo… e chiuderò la mia semplice riflessione giocando con titoli e virgolettati che non smetteremo mai di cantare.

 

Ah, “Che dolor”, “Io non vivo senza te”, cara Raffaella… “Ma che musica, Maestro”, dovrà suonare per Lei, ora? Io, La pregherei, se può, di fare davvero tanto “Rumore”, ma “Forte, forte, forte”, perché sia sempre “Fiesta”, quella vera, che dà al cuore tanta “Felicità-ta-ta”; che si provi ancora “Amore, amore” e, poi, “Chissà se va”…

E se la nostra Lei dovesse essere “Innamorata” di “Pedro” o “Luca”, si tratterà di “Fatalità”: dunque, “A far l’amore comincia tu”… con “Tanti auguri”!

 

 

…“E salutala per me”, la mia cara cittadina del mondo, del suo mondo, l’unico in grado di mostrarsi infinito, pur restando “da Trieste in giù”, la mia, per sempre, adorata “Maga Maghella”.

Pietro Romano

 

 

Pietro Romano: