Premetto che posso solo tentare di descrivere le mie sensazioni sulla grande signora Carrà mi viene in mente “Mamma Rai”, quasi come riflesso incondizionato, essendo, probabilmente, la figura che più di ogni altra ha rappresentato la televisione pubblica. E aggiungo che se la Rai avesse un volto umano, avrebbe proprio quello di Raffaella, così come se avesse una voce, sarebbe la sua.
L’inconfondibile suono della sua risata mi ha accompagnato per i miei quarantasette anni, come melodia familiare, coinvolgente, trascinante: una sorta di insolito, amatissimo, altro inno nazionale, insomma. Ricordare, poi, come affrontava il centro della scena, porgendo pose con irripetibile grazia, con l’eleganza di una étoile, dalle mani sui fianchi, al bacino leggermente proteso in avanti, mostrando in tv il primo ombelico, riuscendo ad eludere, evidentemente, anche la censura, in quegli anni estremamente accorta e scrupolosa.
Risuonano fino a commuovermi ancora le sigle dei suoi programmi, a tutti gli effetti quanto a cura delle inquadrature e bellezza delle coreografie, antesignani dei successivi videoclip che oggi imperversano sui canali musicali di tutto il mondo. L’abbiamo vista in bianco e nero e quando come per incanto divenne “a colori”, non subimmo alcuno sconvolgimento: quando appariva lei, lo schermo si illuminava comunque. D’altra parte, se non c’è luce non c’è colore. È il colore che necessita di luce non l’inverso. Ed è proprio questo che definisce il calibro di un artista.
Aver avuto quell’opportunità mi fece rivivere in piccolo un’emozione indescrivibile, portandomi a sognare – o sentire davvero, chissà… – di essere collega di Corrado, di Manfredi, di Panelli, di Chiari, di Fabrizi, di Bramieri… come se avessi fatto parte anch’io di quel magico ed irripetibile modo televisivo.
Raffaella Carrà è l’immagine assoluta ed indiscussa della signorilità dell’artista, la perfetta coniugazione tra talento e finezza, l’autentico binomio tra scena ed umanità… Il resto, che tutti proviamo con inesprimibile nostalgia della sua straordinaria, poliedrica bellezza, lascerò che siano altri autorevoli colleghi ad esprimerlo… e chiuderò la mia semplice riflessione giocando con titoli e virgolettati che non smetteremo mai di cantare.
Ah, “Che dolor”, “Io non vivo senza te”, cara Raffaella… “Ma che musica, Maestro”, dovrà suonare per Lei, ora? Io, La pregherei, se può, di fare davvero tanto “Rumore”, ma “Forte, forte, forte”, perché sia sempre “Fiesta”, quella vera, che dà al cuore tanta “Felicità-ta-ta”; che si provi ancora “Amore, amore” e, poi, “Chissà se va”…
E se la nostra Lei dovesse essere “Innamorata” di “Pedro” o “Luca”, si tratterà di “Fatalità”: dunque, “A far l’amore comincia tu”… con “Tanti auguri”!
…“E salutala per me”, la mia cara cittadina del mondo, del suo mondo, l’unico in grado di mostrarsi infinito, pur restando “da Trieste in giù”, la mia, per sempre, adorata “Maga Maghella”.
Pietro Romano