Letizia Triches è una scrittrice e una storica dell’arte che si è dedicata alla scrittura dal 2008 di romanzi gialli. Recentemente ha pubblicato per Omicidio a regola d’arte. Le indagini del Commissario Chiusano. Visum l’ha intervistata.
“La nuova serie del commissario Chiusano è nata perché Chantal mi chiamava dal passato, tanto da pretendere prima un ruolo da comprimaria in un romanzo della serie precedente, pubblicato nel 2016, e poi, finalmente, il ruolo della protagonista in Delitto a Villa Fedora, di cui, appunto, Omicidio a regola d’arte è il prequel. Era giusto accontentarla. Giusto ma anche naturale per me. In realtà dei miei personaggi io so molto di più di quello che scrivo. Quindi è un piacere svelare a poco a poco ai lettori sempre nuove sfaccettature della loro personalità”.
“In apparenza si ha la sensazione che ci siano poche differenze, ma non è così. È come se in Verde napoletano avessimo tra le mani una fotografia di Chantal non perfettamente a fuoco, mentre in Omicidio a regola d’arte certi dettagli del suo carattere, certe sfumature sella sua femminilità, se vogliamo anche una sua sensualità, di cui lei stessa è inconsapevole, venissero a galla. Che fosse una donna forte lo avevamo già intuito, ma adesso si capisce che la forza e la determinazione le derivano proprio dalla capacità che ha di lasciarsi attraversare dal dolore senza farsi travolgere. In questa donna esiste la consapevolezza che a volte un grande dolore si può trasformare in un detonatore in grado di provocare un’evoluzione necessaria per la nostra vita”.
Perché hai scelto un nome stonato per la commissaria Chiusano?
“Nella prima parte del romanzo si alternano le voci di Chantal e di Sara. Le due donne si trovano a vivere la stessa drammatica esperienza nello stesso momento, ma la vivono ai due poli opposti. Dal punto di vista affettivo hanno esigenze e comportamenti totalmente diversi. Sara è una psichiatra romana, algida e controllata. È stata la moglie di Michele Mosti, un pittore molto famoso, e si è trovata suo malgrado trasportata nel mondo tormentato e dissoluto del marito. Mentre Chantal ha vissuto il matrimonio con il suo amatissimo Giovanni, un pittore poco conosciuto ma di grande qualità, nel rispetto e nell’armonia. Eppure c’è qualcosa di imperscrutabile che lega queste due donne e che le porta a collaborare per risolvere il caso”.
“Sì, Napoli è la terza voce narrante, anch’essa femminile. Siamo nel 1987. Niente cellulari e social media. Mi sono calata in questo spazio senza tempo, percorrendo le vie del centro: via Duomo, via Toledo, San Gregorio Armeno, fino al quartiere Sanità o ai dintorni della città, Baia e Bacoli, ma non ho voluto soffermarmi sulla descrizione delle bellezze artistiche della città. Pur essendo una storica dell’arte, preferisco cogliere altri aspetti legati all’atmosfera del luogo in cui si svolgono i fatti. Napoli è una città che mi irretisce forse perché suscita in me sentimenti contrastanti in un dualismo di grande fascino”.
“Da sempre l’arte corteggia il tema della morte e viceversa. Lo stesso processo creativo non è esente da un lato oscuro. L’artista è perennemente in lotta con il buio che cerca di sottrargli le immagini appena generate dalla propria immaginazione. Il mondo dell’arte è pieno di contraddizioni e di conflitti, ma è anche quanto di più potente abbia creato la mente umana per sfuggire all’istinto primordiale che ci spinge continuamente verso esiti distruttivi. Chantal, come me, è attratta dagli esseri umani, dalla loro generosità e dalla loro ferocia, dalla loro capacità di creare cose meravigliose e dalla loro inclinazione a distruggere ciò che hanno creato”.
“Penso che l’Italia abbia cominciato a diventare il paese che conosciamo negli anni Ottanta: spettacolarizzazione della politica, festival culturali di massa, talk show, comici indignati, salutismo. Anche se allora albergava la speranza, ora scomparsa, che tutto fosse possibile; e la Tv era portavoce di questa speranza. A livello personale sono stati i miei “anni ruggenti”. In quel periodo, pur continuando a insegnare, mi sono occupata di arte contemporanea. Organizzavo mostre, curavo cataloghi, partecipavo a dibattiti. Napoli è stata una delle mie mete. Qui ho partecipato all’allestimento di una grande mostra collettiva a Castel dell’Ovo. Chissà forse proprio in quell’occasione è germinata dentro di me l’idea di un giallo napoletano ambientato nello stesso momento temporale”.
“Gettare uno scandaglio nella psiche dei personaggi è fondamentale per me. La loro psicologia è in funzione dell’azione delittuosa. È il vero motore che determina lo svolgersi dei fatti, la password senza la quale non si può giungere a scoprire la verità. A me interessa il lato oscuro dell’anima, che si dissimula dietro un’apparenza di normalità. Chantal e Sara condividono lo stesso destino e lo stesso cammino verso la verità, ma il loro approccio è molto diverso. Sara, fino all’incontro con Michele, non era mai stata sfiorata dal mondo dell’arte e, anche dopo la morte di lui, continuerà a sentirsi estranea a questa realtà. Mentre Chantal, che ha sempre condiviso tutto con Giovanni, erediterà da lui una modalità artistica nel condurre le indagini. Una qualità che le permette di sfuggire allo schema delle abitudini mentali e che le offre la possibilità di osservare le cose da un punto di vista diverso”.
“Non lo escludo, anche se nel prossimo romanzo in cantiere, ambientato di nuovo a Roma, ritroveremo il commissario Chantal Chiusano, alla quale si affiancherà un’altra figura femminile che i lettori potrebbero già facilmente individuare. Chi mi segue da tempo però sa che i personaggi dei miei romanzi hanno il vezzo di tornare sulla scena del crimine. Come se ogni storia non fosse altro che un capitolo di un unico, lungo libro. Il mio dialogo con Giuliano Neri non si è concluso. Il restauratore sta solo aspettando di riprendere il discorso interrotto”.
Cristina Marra