Si può conoscere una città come Venezia facendosi guidare dai gatti che la abitano e la vivono quotidianamente? La risposta è sì, se a seguirli nel loro girovagare per calli o a bordo di vaporetti è Stefano Medas, archeologo subacqueo e navale e autore di romanzi storici. Visum l’ha intervistato.
Medas questa volta si lascia condurre in un viaggio di scoperta che affonda le radici nella sua infanzia, quando Venezia, la città dei gatti, era solo immaginata attraverso i racconti degli zii e poi diventa la sede del suo lavoro. “Venezia mi ha accolto ed è diventata anche mia. E’ stata una delle più straordinarie scoperte che abbia mai fatto, mi ha segnato la vita. E i gatti ne sono stati parte integrante sin dall’inizio”, scrive l’autore che sin dai suoi primi approcci con i gatti veneziani si interessa alla loro storia, alle loro abitudini e anche alle credenze, leggende e storie che li accompagnano da secoli.
Da queste esperienze reali e da studi e vere e proprie indagini e pedinamenti nel mondo felino della bella città lagunare, Medas scrive Il gatto che viaggiava in vaporetto una raccolta di racconti con protagonisti felini che si legge come un romanzo- guida che svela misteri e segreti, bellezze e atmosfere di Venezia e dei suoi misteriosi e affascinanti abitanti a quattro zampe.
Stefano, dopo due romanzi storici scrivi questo libro che racconta Venezia
attraverso i suoi abitanti felini e viceversa, possiamo considerarlo un viaggio e anche una preziosa guida nella città lagunare vista con gli occhi dei gatti?
“Sì, l’intenzione è proprio quella. Vedere Venezia attraverso gli occhi dei suoi gatti significa avere un punto di vista privilegiato per conoscere gli angoli meno noti di questa straordinaria città e della sua meravigliosa laguna. Il che significa conoscerne la vita quotidiana, nel fluire dei sui tempi e dei suoi modi, tutti sempre speciali, assolutamente unici. Insomma, significa coglierne l’anima”.
Nel libro emergono la storia della città, le tradizioni, le leggende, i riti, le atmosfere, Venezia può essere paragonata a un gatto che sceglie con chi stare. Venezia ti ha scelto e ti ha affascinato?
“Proprio così, credo che Venezia possa essere paragonata a un gatto che sceglie con chi stare. Per capirla devi scoprirla, osservarla e studiarla da dentro. Allora ti rendi conto della sua vera meraviglia, che va molto al di là della bellezza esteriore, per altro unica e indiscutibile. Le atmosfere, la gente, le consuetudini, le situazioni, i colori, i mille riflessi, persino le difficoltà hanno un fascino speciale”.
I gatti di Venezia sono detti gatti di campo o di calle, che differenza c’è con gatti liberi?
“Ho coniato questa espressione per identificare quei gatti che hanno una loro casa, ma che amano sentirsi parte dell’ambiente esterno, della comunità circostante, e per questo diventano delle specie di mascotte, delle presenze amiche e costanti che caratterizzano un luogo, una zona. Si appagano del loro ruolo ‘comunitario’, consapevoli di essere i beniamini di tutti. Inoltre, regalano a campi e campielli dei ‘complementi d’arredo’ insostituibili, assolutamente perfetti. I gatti liberi sono invece comunità di felini che non hanno casa e padrone, ma vivono radicati in una determinata zona grazie alle cure della gente, che procura loro il cibo e gli allestisce le cucce (questi gatti hanno comunque uno spirito territoriale, motivo per cui non è corretto parlare di gatti randagi). Del resto, le comunità feline hanno sempre avuto un ruolo importante in molte città, non solo a Venezia, sia per la simpatia che suscitano sia perché tengono lontani topi e ratti, dunque forniscono un loro sevizio. Oggi le comunità di gatti liberi sono diventare rare”.
Racconti che Venezia prima dell’ultimo conflitto mondiale era davvero una città dei gatti con oltre quarantamila abitanti felini, per quale motivo nel senso si è ridotto il numero di gatti in città?
“La città era molto diversa sul piano sociale ed economico. Era più povera, non conosceva il turismo di massa, ma era popolosa e vivissima, animata da una quantità di mestieri e di attività oggi scomparse. Il boom economico del dopoguerra, con l’attrattiva esercitata dai grandi poli industriali, ha determinato il progressivo spopolamento di Venezia; e col numero degli abitanti si è assottigliato anche quello dei gatti”.
Tanti i gatti che nomini e racconti. Che rapporto hai avuto con uno chiamato Cuba?
“Cuba, che viveva nella stessa calle in cui abitavo io, stava per ore seduto sul davanzale della mia finestra a prendersi i saluti e le carezze della gente che passava, sembrava un piccolo doge. Era il beniamino di tutti. Ogni tanto, poi, saltava in casa e mi faceva compagnia mentre scrivevo. Per me era un amico. La sua sola presenza costituiva un potente generatore di serenità, che infondeva buon umore, riuscendo a volgere al meglio anche una giornata nata grigia. Ciao Cuba, sei arrivato! lo salutavo aprendo la finestra, in modo che potesse entrare, se ne aveva voglia. In effetti, accadeva magari inconsciamente, ma ogni giorno lo aspettavo, ed ero sempre contento quando vedevo comparire la sua sagoma sul davanzale, dietro la tenda. E poi, sentire la gente che si fermava un istante per salutarlo era uno spettacolo unico!”.
Seguendo o osservando i gatti guardi anche Venezia con occhi indagatori e la scopri?
“Certo. Non si finisce mai di scoprirla, Venezia. Credi di aver già visto tutto, poi giri un angolo, ti affacci a una porta, ti infili in una calletta e scopri sempre qualcosa di nuovo, di inaspettato. E bisogna guardare in alto, osservare con attenzione dove normalmente non guardi, senza fretta, come sanno fare i gatti”.
Dall’ospedale alle pescherie, quali sono i luoghi che ti hanno attratto di più?
“Difficile fare una classifica. Certo, l’Ospedale è un luogo straordinario, non te lo aspetti, un nosocomio-monumento d’arte. Lì vive una delle ultime vere comunità di gatti liberi, accuditi amorevolmente da un’anziana signora e dai volontari. Poi l’Arsenale, vicino a casa, uno dei luoghi più straordinari che esistano”.
Gatti e libri, che rapporto hanno avuto nel tempo i gatti con archivi biblioteche e librerie?
“I gatti amano le biblioteche e gli archivi, perché sono posti tranquilli, frequentati da gente tranquilla. Sappiamo che già in epoca medievale c’erano monaci amanuensi che amavano svolgere il loro solitario lavoro in compagnia di un gatto. Fino agli inizi del Novecento, inoltre, venivano arruolate intere squadre di gatti soprattutto negli archivi, per contrastare i topi, roditori che mettevano a rischio l’incolumità dei documenti cartacei. Così accadeva anche all’Archivio di Stato di Venezia”.
Sei archeologo subacqueo, che legame hanno i gatti col mare e con i fari?
“Per secoli, forse per millenni, i gatti hanno fatto parte degli equipaggi delle navi. Inizialmente venivano imbarcati per tenere pulite le stive e le cambuse, cioè per dare la caccia ai topi che vi si intrufolavano; poi finivano per diventare delle vere e proprie mascotte, una tradizione, quella dei gatti di bordo, sopravvissuta fino alla metà del secolo scorso. Inoltre, per gli stessi motivi, i gatti sono sempre stati ricercati per prestare servizio nei fari. Ho conosciuto una piccola comunità di gatti che viveva presso un faro nella laguna di Venezia, con uno dei quali ho stretto amicizia per parecchio tempo”.
Quale tra le storie che hai raccontato ricordi con maggiore affetto?
“Le ricordo tutte con affetto, per una ragione o per l’altra. Alcuni gatti, però, hanno lasciato un segno speciale, e tra questi ci sono senza alcun dubbio Cuba e Damasco”.
Cristina Marra