La questione meridionale spiegata in modo ironico ma tuttavia velato di profonda amarezza, è alla base di questo bel lavoro che Roberto D’Alessandro porta in scena al Teatro Ghione non senza evidenziare che malgrado tutto il tempo passato, centocinquant’anni, dall’unità d’Italia ad oggi il nostro stivale è ancora diviso in due parti almeno.
Due parti, due zone tra di loro poco comunicanti, luoghi comuni sui meridionali e sul meridione che D’Alessandro espone in maniera esemplare basandosi sul libro che Pino Aprile, giornalista di chiara fama, ha scritto per dimostrare come si è evoluta la situazione socio-economica del Meridione, problema elevato al rango di problema nazionale.
La questione meridionale, il meridionalismo per come spiegata dal palcoscenico del Ghione è esposta facendo ricorso a volte a fatti storici a volte su fatti presunti, iniziando dall’unità d’Italia per svelare questioni che vengono tenute volutamente nascoste quali le angherie che i “nordisti” hanno operato ed operano ancora in danno dei “sudisti”.
Insomma, una storia al contrario che racconta di violenza fisica e morale in danno del sud, uno sfruttamento economico scientificamente condotto dai governanti che vivrebbero sulle spalle dei meridionali: dal periodo borbonico ai giorni nostri vengono descritte tragedie in forma ironica e tuttavia pregnante e dolorosamente efficace, con un’arte che sfiora la grande professionalità dell’attore recitante, uomo in grado di dare vita a racconti pregni di tristezza come ad esempio la fuga degli abitanti del meridione verso il nord che in tal modo si sarebbe arricchito in loro danno.
Sotto sotto si avverte un che di rabbioso, di tentativo di ribellione contro quelle che l’autore del libro recitato da Roberto D’Alessandro ritiene si siano concretizzate come vere e proprie vessazioni, perpetrate attraverso sottigliezze giuridiche ed anche lamentando l’adesione dell’Italia all’Europa che sarebbe motivo di ulteriore aparthaid per una moltitudine di abitanti italiani che chiedono insistentemente di essere storicamente riconosciuti in base ad un passato orgoglioso, che Il Bel Paese non avrebbe mai volutamente riconosciuto.
Appare bello e fortemente significativo il paragone che emerge sotteso, tra le migrazioni italiane dal sud al nord degli anni dal cinquanta in poi e quelle attualmente in corso da parte di altri poveri disgraziati provenienti da altre aree del bacino del Mediterraneo; il ricorso alla fantasia è troppo per pensare che il mondo intero sia più generoso.
Ballate, canzoni, musiche popolari eseguite da Mariano Perrella su testi e musiche di Eugenio Bennato e Mimmo Cavallo accompagnano la recitazione di un signore del palcoscenico in grado di esprimere con tutta l’amarezza, che gli viene dal di dentro la grande quantità di emozioni che questo bel racconto comporta.
Si recita, con successo, fino al 29 aprile.
Andrea Gentili