Medea al teatro Quirino di Roma

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Da sempre considerata l’archetipo del mostro, misteriosa quanto basta per far impazzire anche il pubblico più attento e culturalmente più dotato, Medea resta un personaggio al limite del macabro: non la rappresentazione della madre al femminile ma la rappresentazione di una donna che combatte per capire, lei stessa, se destinare le sue attenzioni al proprio uomo o all’amore per i figli.

 

Ed è per questo che nella Medea che va in scena fino al prossimo cinque novembre al teatro Quirino Vittorio Gassman si riconosce la mano di quel Luca Ronconi che firmando questo lavoro di Euripide, e non soltanto questo, ha lasciato una traccia indelebile nella storia registica del teatro italiano ed internazionale.

 

Franco Branciaroli, un grande che rende omaggio al regista piemontese scomparso due anni fa, veste i panni della donna che la letteratura ci ha tramandato come esempio di interpretazione psicologica di determinati rapporti umani visti sotto l’aspetto di una forza irresistibile che tutto distrugge, anche l’avvenire di quel popolo greco che subodora l’arrivo ad Atene di una donna assurdamente macabra, non madre, ma donna votata all’efferratezza del delitto.

L’impossessamento di un ruolo femminile da parte di Branciaroli, uomo che veste i panni di una donna, incanta al di là del personaggio femminile che interpreta: Medea donna è tale da rappresentare perfettamente l’intensità del potere di una persona che è in grado di compiere una serie di delitti per vendicarsi del fatto di essere stata ripudiata dal marito Giasone, l’eroe che, aiutato da lei stessa, giunse alla conquista del Vello d’Oro, per raggiungere il titolo di re.

La nuova moglie di Giasone è Glauce, la figlia del re di Corinto Creonte e Medea arguisce che il suo abbandono da parte del marito ha lo scopo di raggiungere da parte di quest’ultimo, il diritto a succedere al trono di Corinto.

La vendetta posta in atto da Medea è terribile: con la scusa di omaggiare Glauce le invia una ghirlanda avvelenata che, da lei indossata, la uccide tra atroci tormenti; anche il re Creonte, accorso in soccorso della figlia, viene ucciso.

 

Colma di umano dramma è la scena nel corso della quale Giasone, che vorrebbe evitare ai suoi figli la stessa sorte di Glauce e del padre tutti coinvolti dall’ira della mostruosa sua ex moglie, assiste alla loro uccisione da parte della loro madre Medea che, in tal modo, colma d’ira e trionfante, raggiunge lo scopo di privare Giasone, ma anche i suoi stessi figli, del diritto di succedere al trono di Corinto.

 

Tutto il dramma è perfettamente rappresentato, altalenanti stati d’animo compresi, con un particolare allestimento scenografico di genere modernistico che nulla toglie alle intenzioni originarie del lavoro che Euripide portò in scena ad Atene nel 431 a.C., anzi ai nostri occhi lo rende ancor più attuale anche e soprattutto per merito di un grande Branciaroli che, da uomo, riesce a far balenare nello spettatore un nemmeno tanto sotteso inno all’attuale movimento femminista.

Tutto il lavoro in scena è una macchina perfetta: dalla regia di Daniele Salvo ( che è completamente ed adeguatamente ispirata a quella classica di Luca Ronconi che con questo lavoro Branciaroli molto degnamente omaggia) alla interpretazione del bravo Alfonso Veneroso nei panni di Giasone, dalla interpretazione di Antonio Zanoletti ( il re Creonte) a quella di tutto il complesso di attori e personaggi che, in grande moltitudine, ruotano intorno a questo bellissimo lavoro che il Centro teatrale Bresciano con il teatro de Gli Incamminati, il Piccolo Teatro di Milano e quello d’Europa hanno sapientemente ed in maniera molto aderente al volere euripideo, organizzato.

Andrea Gentili

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