Questo è un uomo: docufiction su Primo Levi

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Una docufiction per non dimenticare il male assoluto: la tragedia della Shoah. Va in onda il 30 gennaio alle 22.45 su Rai1 “Questo è un uomo” sulla vita di Primo Levi autore del celebre romanzo, con protagonista Thomas Trabacchi.

E’ il racconto dei momenti salienti della vita e dell’opera di Primo Levi, in un ritratto emozionante che restituisce un volto inedito dello scrittore e intellettuale che, con le sue parole e i suoi scritti, ha consegnato in eredità ai posteri il monito della testimonianza delle atrocità compiute nei campi di sterminio nazisti e il valore della memoria, come fondamentale presa di coscienza per evitare che gli orrori del passato possano tornare ad oscurare il presente e il futuro.

 

Thomas Trabacchi nei panni di Primo Levi, Sandra Toffolatti in quelli di Lucia Levi e Werner Waas nel ruolo dell’uomo del Maso, sono i protagonisti di “Questo è un uomo”, una produzione Red Film in collaborazione con Rai Fiction, prodotta da Mario Rossini, per la regia di Marco Turco, in onda in prima visione e alle 22.45 sabato 30 gennaio su Rai1.

 

Una docufiction che unisce ricostruzioni, immagini di repertorio e le interviste di chi ha conosciuto Primo Levi e ne ha compreso gli aspetti umani essenziali, come Marco Belpoliti (scrittore e studioso di Primo Levi), Edith Bruck (scrittrice testimone, amica-sorella in sorte di Primo Levi), Noemi Di Segni (Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane), Anna Foa (storica), David Meghnagi (psicoanalista e scrittore), Moni Ovadia (uomo di teatro, attivista dei diritti civili e sociali) e Giovanni Tesio (docente e critico letterario).

La trama della docu-fiction

Durante un’escursione in montagna, Primo Levi prende una storta alla caviglia che gli impedisce di camminare. È quasi giunto in vetta, da solo. Intorno a lui solo rocce e silenzio. Quando si sente ormai perduto, viene soccorso da un uomo che sembra comparso dal nulla e che si rivela sin dall’inizio una personalità enigmatica. L’uomo conduce Primo Levi nel suo maso dove lo medica con delle erbe e lo ristora. Non sembra riconoscerlo, benché nel 1986 lo scrittore fosse famoso in tutto il mondo per i suoi libri e per la sua partecipazione alla vita pubblica. Addirittura non comprende il significato del numero tatuato sul braccio che Levi gli mostra. Di fronte a questa singolare ignoranza Primo Levi sente la necessità, ancora una volta nella vita, di raccontare la sua storia e, con essa, la tragedia della Shoah.

Sente lo stesso bisogno di parlare, di raccontare, di testimoniare che avvertì dopo la guerra, quando tornato a Torino riprese a lavorare come chimico. In quegli anni, molti italiani avevano voglia di dimenticare ciò che era successo, di andare avanti. Volevano lasciarsi alle spalle il passato. La casa editrice Einaudi, alla quale Levi presentò la prima bozza di “Se questo è un uomo”, rifiutò il libro perché aveva già pubblicato altri volumi sulla deportazione e sui campi di sterminio, ma nessuno li aveva comprati. Attraverso il teso confronto che Levi sostiene con l’uomo del maso, nel quale lo scrittore sembra riconoscere l’identità di un deportato che aveva conosciuto ad Auschwitz, la docufiction ricostruisce i momenti salienti della vita di Primo Levi.

Il regista della docufiction Marco Turco

Con Questo è un uomo – dice il regista Marco Turco – abbiamo voluto dare il nostro contributo alla conservazione della memoria storica di una tragedia che non può e non deve essere dimenticata, celebrando al contempo uno dei principali scrittori del Novecento italiano ed europeo: Primo Levi”.

“Abbiamo voluto, di comune accordo tra regia e autori, inserire il racconto all’interno di una cornice narrativa all’apparenza insolita – sottolinea – come la montagna, che rappresenta però una delle cose più amate dallo scrittore, volendo sottolineare l’intenzione di raccontare aspetti inediti della vita di Primo Levi”.

 

Attraverso l’uso delle immagini di repertorio, interviste e ricostruzione narrativa attraverso la fiction – conclude – abbiamo voluto mostrare invece ciò che ha significato la deportazione ad Auschwitz, il ritorno a casa, i tentativi di ricominciare un’esistenza ordinaria con il suo lavoro di chimico e l’inizio del suo lungo e travagliato percorso per pubblicare ‘Se questo è un uomo’, a testimonianza di quanto fosse difficile, nell’Europa dell’immediato dopoguerra, parlare della Shoah”.

Redazione

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