Incontro con Ortensia Visconti autrice del romanzo “Malalai”

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E’ la storia di un viaggio, di una ricerca, di una scoperta, quella di “Malalai” della reporter, fotografa e scrittrice Ortensia Visconti, una storia di donne coraggiose e controcorrente, di tradizioni e cambiamenti, di strade con soldati e cuori pieni di sogni, di paesaggi profumati e di un mare di emozioni. Visum l’ha intervistata.

Malalai” da pochi giorni in libreria edito da Rizzoli, è il viaggio di una donna di soli diciassette anni che lascia l’Afghanistan per seguire il legame con una madre mai conosciuta e mutare il corso della sua vita.

Ortensia, il romanzo è il racconto di un viaggio, di una ricerca e di una rinascita. E’ anche un’indagine dentro la società femminile afghana?

Si, certo. Uno dei lati positivi di essere donna, negli anni che ho passato in Afghanistan durante la guerra, era di essere accolta dietro la purdah (pratica che vieta agli uomini di vedere le donne), soprattutto nelle zone rurali. Lì ho passato molto tempo – spiega l’autrice – con le donne afghane. Ho dei bellissimi ricordi di quelle esperienze. Le loro risate, le confidenze, la curiosità verso di me. Malgrado le difficoltà, spesso affrontavano la vita con una forza e una allegria che sono rimaste un esempio per me”.

Mi piace pensare a Malalai come una giovane detective dilettante che mettendo insieme tutti gli indizi sulla madre e in un certo senso la trova e ritrova se stessa. Sei d’accordo?

La vita di Bibi è un enigma. La sua bellezza, le sue origini, il femminismo islamico, gli amori, l’eccentricità. E’ solo attraverso la scoperta del personaggio di sua madre e di quello che è successo prima della propria nascita che Malalai trova le basi per costruire la sua identità. Allora può porsi la domanda che credo sia al centro del romanzo: chi vuole essere Malalai? Ed è una domanda che crea un tipo diverso di persona, di identità”.

Passato e presente, due donne di due generazioni diverse ma entrambe coraggiose e combattive. Com’è stato il tuo lavoro di ricerca per raccontare Bibi e Malalai?

Sono stati anni di ricerca. Malalai è la storia dell’incontro tra due culture, la mia e quella di Malalai. E’ un’inversione culturale della mia esperienza, per cui ho usato anche materiale dei miei appunti in Afghanistan. L’incontro tra culture diverse – sottolinea – è un tema che studio da sempre, una passione. Bibi poi mi ha fatto scoprire il femminismo islamico, che è un movimento che vede donne musulmane rivendicare l’uguaglianza dei generi a partire dalla reinterpretazione dei testi sacri dell’Islam”.

 

 

Donne forti ma anche personaggi maschili spesso complici. Che uomini sono Nur e il maestro?

Sono uomini innamorati delle donne, per le quali nutrono un grande rispetto. Non si può dire lo stesso di Gul Zaman, il cattivo del libro, che invece le oggettivizza continuamente”.

 

Nel romanzo il mare con i suoi abissi e le sue creature, in particolare Zifio e capodoglio, ha un potente valore simbolico e metaforico?

La balena, che vive negli abissi, simboleggia la profondità delle emozioni. Malalai è un personaggio estremamente empatico, tanto da immedesimarsi con le balene. Esseri mitologici che può solo immaginare, perché l’Afghanistan non tocca mai il mare. Non avere un passaporto forte limita la libertà di muoversi, e trasmette un senso di oppressione. Non è naturale”.

 

Malalai cresce col padre senza agi, sono nang e namos, onore e orgoglio a farla resistere?

“I valori aiutano a resistere. Anche se in seguito Malalai dovrà farci i conti, per raggiungere la sua “cultura personale”, come le dice il maestro”.

 

Nel romanzo c’è anche tanto amore, quello genitoriale, filiale, romantico ma anche amore per i luoghi?

Ho viaggiato molto, e l’Afghanistan è uno dei posti che più mi ha fatto innamorare. Per la sua bellezza, ma anche per la bellezza della sua gente, di tutte le etnie diverse che contiene”.

 

Quanto ti ha dato la pubblicazione del romanzo e cosa è cambiato da quando hai messo su carta la vita di Malalai?

“Erano anni che volevo scrivere questa storia. Dovevo farlo, per me era necessario, perché riguardava la mia stessa crescita nell’incontro con un’altra cultura”.

 

 

 

Lo dedichi a tua madre. Cosa vorresti che il libro regalasse a chi lo legge?

Quello che ha regalato a me: empatia. La capacità di mettersi nella pelle di gente di culture diverse”.

 

 

Ti piacerebbe se la tua storia diventasse un film?

Certo che si. Ma forse sarebbe più adatta a una serie, vista la quantità di avvenimenti, personaggi, e periodi storici”.

Cristina Marra

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giornalista pubblicista, si occupa di critica letteraria da diversi anni con particolare riferimento alla narrativa giallo-poliziesca. È stata direttore artistico di numerosi festival tra Festival Lipari Noir, Arena Faletti di Ombre Festival, Calabria Noir Festival, Bologna on the road, le strade del noir, Festival del Giallo di Cosenza. È organizzatrice di diverse rassegne letterarie e ha scritto racconti noir presenti in diverse antologie.È Direttore della collana noir Emozioni d'inchiostro noir e Piccoli noir dell'editore Laruffa.

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