Li romani in Russia al Teatro Ghione

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E’ un vero peccato che spettacoli del genere di quello che la sera del 27 gennaio scorso ha interessato il palcoscenico del Teatro Ghione con la assolutamente eccezionale interpretazione dell’ormai affermata coppia Nicola Pistoia e Paolo Triestino, per l’occasione integrata da una molto brava Elisabetta De Vito, siano programmati per una sola serata.

Questo lavoro, infatti, tratto da un affermato libro di Elia Marcelli, un ex soldato che ebbe a partecipare, tra le altre, alla Campagna di Russia e del quale ricorre tra qualche giorno il decennale della morte, merita veramente di essere diffuso.

E lo merita perché attraverso la narrazione, anche in musica, di una tragedia che racconta la storia di un giovane romano mandato in Russia a combattere una guerra, che costò all’Italia decine di migliaia di perdite.

 

Un orrore che il tempo non ha mai consentito di dimenticare e che Elia Marcelli ha descritto nella sua opera in dialetto romanesco perché tale modo di esprimersi fu, secondo lui, la maniera migliore per esprimere tutto il suo stupore per una tragedia di immane portata, che soltanto attraverso tale forma di espressione, di forte impatto emotivo ma assolutamente comprensibile, poteva essere comprensibile in forma vera, penetrante ed emozionante.

Nicola Pistoia e Paolo Triestino si sono cimentati in una forma non per loro del tutto insolita e sono  riusciti a raggiungere l’animo dello spettatore proprio così come avrebbe voluto Marcelli,  eleggendo a poesia, tra il serio ed il faceto, il dramma che l’attonita ed emozionata platea assimila con la narrazione delle disavventure vissute dall’autore e da alcuni suoi compagni, ridotti a poveri soldati straccioni abbandonati appartenenti come lui alla Divisione Torino che operò, risultandone distrutta, nel pieno della steppa russa.

 

 

I lunghi spostamenti a piedi nel freddo, l’arrivo, temuto, dell’inverno, anche la solidarietà del popolo russo, che assistette i nostri soldati nella ritirata tragica come pure la morte di tanti di loro si evidenziano, con una leggera ma opportuna nota di sottilissima comicità nella recitazione, in quel dialetto romanesco che esso solo riesce ad esprimere insieme dolore, tristezza, finanche la morte riducendoli a momenti di pura poesia.

 

 

Bravissimi Pistoia e Triestino nel descrivere l’orrore della guerra oggetto del dramma di Marcelli, un dramma però che l’umana intelligenza dovrebbe essere in grado di afferrare, non soltanto come episodio storico limitato a “quella” guerra, ma a “tutte” le guerre che per tanti versi nulla risolvono tra i “nemici” ma che contribuiscono a rendere l’uomo simile alle bestie.

Andrea Gentili

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