La Guerra è finita su Rai1

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Primo appuntamento del 2020 con la fiction di Rai1. La Guerra è Finita per la regia di Michele Soavi debutta il 13 gennaio con la prima puntata della fiction che Sandro Petraglia firma nel soggetto e sceneggiatura.

 

È il 1945. Dopo la Liberazione, uomini, donne bambini: i sopravvissuti della Guerra e dei campi di sterminio tornano nei loro Paesi e alle loro case. Molti di loro però non le hanno più le case, e non hanno più affetti né una famiglia da riunire.

È il destino di Davide (Michele Riondino) che ha perso moglie e figlio in un campo di concentramento mentre lui, membro attivo nella Resistenza, combatteva l’occupazione nazista. Anche Giulia (Isabella Ragonese) è rimasta sola. Suo padre, imprenditore accusato di essere un collaborazionista, è stato da poco arrestato.

 

I due si incontrano a Milano dove insieme ad altri giovani e giovanissimi reduci cercano un posto dove ricostruire un’esistenza normale. In aiuto viene Ben (Valerio Binasco), ex ufficiale della Brigata Ebraica che, nella campagna circostante, conosce una fattoria abbandonata. Qui trovano rifugio con Davide, Giulia e Ben anche un gruppo di adolescenti e bambini che la Guerra ha reso orfani: Gabriel, Miriam, Sara, Mattia, Giovanni, Ninnina che a soli 4 anni ha già il braccio oltraggiato dal numero identificativo di una campo di concentramento.

 

Tante età diverse, tante storie diverse ma tutti con uno stesso profondo dolore e quasi l’impossibilità di ricominciare a vivere.

 

Che personaggio è Davide?

“Diventato partigiano durante il conflitto – dice Riondino – è ora alla ricerca di moglie e figlio. Di loro sa soltanto che sono stati messi su un treno diretto ai campi di concentramento. In questa fiction – continua l’attore – si racconta una storia che siamo abituati a sentire dalla voce di gente di una certa età. Qui si sentono le stesse storie raccontate dalla voce inconsapevole di bambini che hanno subito un dolore e vissuto un’esperienza indescrivibile”. “Davide capisce l’importanza di non cancellare quello che è accaduto ma insieme sente la responsabilità di raccontare in maniera credibile i fatti sentendo la necessità di tutelare i più piccoli. C’è uno dei bambini che – afferma l’attore – racconta a me e Giulia (la Ragonese che interpreta una psicologa infantile) la sua storia attraverso i disegni che io traduco in racconto per gli altri.  In quel momento non mi sentivo più personaggio ma persona che raccontava ai bambini piccoli qualcosa che non è una fiaba ma una realtà terribile. Un racconto nel quale cercavo di dare la forza del Diario di Anna Frank”.

E non dimentica l’attualità Riondino. “C’è oggi il tentativo di trasformare in opinione ciò che è un crimine. Il pensiero fascista è un crimine e deve restare tale. Così anche la rappresentazione di ciò che è accaduto può avere il valore di memoria” e monito perché non accada più.

 

È indubbio che in tutto il mondo e anche in Italia c’è un ritorno all’antisemitismo se non addirittura di vero e proprio negazionismo rispetto alla shoah.

“Il revisionismo è lo strumento che usa chi ha interesse a raccontare la storia in un certo modo per tutelare e favorire scopi personali. In questa fiction – commenta – si parla di italiani che hanno ammazzato altri italiani. Oggi qualcuno cerca di sminuire la tragicità di fatti che hanno segnato intere generazioni”.

 

Proprio come si racconta ne La Guerra è Finita dove l’attenzione è proprio sui sopravvissuti che pagano e continueranno a soffrire per le atrocità di cui sono stati vittime e testimoni.

Tra gli altri interpreti Andrea Bosca (Stefano Dell’Ara) che così riflette sul mestiere di attore.

 

“Non facciamo i medici – dice – non abbiamo nelle nostre mani la vita delle persone. Ma raccontare una storia importante può salvare una o tante vite. Il mio personaggio all’inizio è mosso dall’amore per Giulia, forse solo per il suo aspetto fisico. Poi la conosce e l’amore diventa più profondo. E vicino a lei capisce – afferma – che anche di fronte ad un’immane tragedia ognuno può ed è chiamato a fare la differenza. L’importanza di raccontare storie come questa (ispirata ad una storia vera n.d.r.) non è solo per coltivare la memoria ma per fare in modo che la Storia venga sostituita da altre storie meno umane e più egoisticamente individualiste. È il rischio che corriamo oggi”.

Ludovica Mariani

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