Un derby Roma-Lazio per Shakespeare

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E’ in scena fino al 5 maggio, alla Sala Umberto di Roma, lo spettacolo Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile, scritto e diretto da Gianni Clementi. Si chiamavano Montecchi e Capuleti ai tempi di William Shakespeare, oggi sono gli Ultrà e gli Irriducibili. Sul palco ci sono Romeo, tifoso giallorosso, figlio di Er Murena, e Giulietta, appassionata biancoazzurra, figlia di Er Catena, interpretati da Edoardo Frullini e Giulia Fiume.

Non è sempre facile mettere in scena le opere di Shakespeare, tanto più se si tratta della più straordinaria delle storie d’amore, ma quando si osa e lo si fa bene, il risultato è garantito.

Gianni Clementi, in veste di regista e autore, osa sapientemente, riscrivendo un testo in romanesco e in quartine con rima baciata, ambientando la vicenda non più a Verona ma a Roma in zona Valle Aurelia. Padre Montecchi diventa Er Murena, padre Capuleti Er Catena, Tebaldo Er Cobra, Mercuzio Er poeta, Frate Lorenzo Zì Frate e la Balia diventa Jessica. E poi ci sono loro, i protagonisti: Romeo (Edoardo Frullini) e Giulietta (Giulia Fiume), che s’incontrano sulle curve dell’Olimpico ed è subito amore.

Ma i loro genitori si odiano profondamente e senza esclusione di colpi, perché tifano per due squadre dai colori diversi. Il destino di morte dei due giovani è segnato fin dall’inizio, come nella tragedia del Bardo: lì erano, per l’appunto, i Montecchi e i Capuleti, qui sono gli Ultrà e gli Irriducibili, due famiglie e due fazioni l’una contro l’altra armata. I Capuleti diventano la fazione biancoazzurra di Roma e i Montecchi quella giallorossa.

L’universalità delle dinamiche di Shakespeare è tale proprio perché senza tempo e adattabile quindi in ogni epoca e situazione. Vola alto il verso, proveniente dal basso di un degrado umano e morale, di un odio feroce e il più delle volte indotto da chi dovrebbe invece essere fonte di saggezza.

 

Calcio, religione, politica. Muore l’essere umano di fronte al fanatismo e non vince nessuno, da secoli. Muore la speranza, eppure nulla cambia. Questo spettacolo è perfetto, dalla prima all’ultima scena, ricco di curatissime idee registiche, con il sipario spoglio ed un ponteggio al centro del palco che diventa casa, chiesa, luogo di incontro e scontro fra tanti ragazzi, ben 16 tra attori e attrici, sempre tutti in scena, anche durante l’intervallo.

Un testo in versi, che segue le linee guida del classico shakespeariano ma usa il romanaccio, un’opera antiviolenza che prende il mondo del calcio come pretesto per parlare di attualità, dei vizi e dei problemi della società di oggi, di un amore che supera il diverso e che proprio per questo, come scaturisce nell’opera di Shakespeare, avrà un finale tragico.

Una tenera e struggente storia d’amore, ma anche di tifo e rivalità nell’era tecnologica, dove un black-out può cambiare l’esito della vicenda in una Roma popolare tifosa e coatta, dove si parla di pasticche per sballare e di ragazzi che guardano alla domenica calcistica come il fine ultimo della loro magra e vuota esistenza, mentre la loro fede sportiva diventa un modo per manifestare il loro disagio. Gente che malgrado l’età vitale è dimenticata e consumata, anche se capace di slanci umani e umanitari.

Ottimo l’intero cast, tutti ben compenetrati nei loro ruoli, alcuni delle autentiche rivelazioni di talento e capacità interpretative, dai più giovani ai due attori più “anziani”, come Stefano Ambrogi (Er Catena, padre di Giulietta) e Marco Prosperini (Er Murena, padre di Romeo). Da segnalare Simone Crisari (Zì Frate), Alessio D’Amico (Er Macarena), Federico Le Pera (Er Cobra). Bravi anche Matteo Cirillo (Babbuino), Daniele Locci (Spadino), Matteo Milani (Er Colombia), Luca Paniconi (Schizzo), Simone Pulcini (Er Lumaca), Luna Romani (Jessica), Gianmarco Vettori (Er Poeta).

Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile, uno spettacolo imperdibile, per avvicinare soprattutto i giovani al teatro. Un testo straordinario, una lettura scanzonata, ironica, attuale, dura, coatta, toccante, commovente di un’opera amata quale Romeo e Giulietta. Da vedere.

Giancarlo Leone

 

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