Il colpevole – The Guilty di Gustav Moller

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Non sono una novità, i thriller che sviluppano la propria storia rispettando rigorosamente l’unità di tempo e di luogo. Viene in mente, per restare a tempi abbastanza recenti, l’esempio de In linea con l’assassino di Joel Schumacher (2002) – tutto ambientato in una cabina telefonica; o l’esordio alla regia di Steven Knight, Locke (2013), che vedeva un Tom Hardy incollato al telefono mentre era alla guida della sua auto, alle prese con i suoi personali, concretissimi, fantasmi del passato e del presente.

Da una premessa superficialmente simile, eppure diversa nei suoi sviluppi e nelle sue implicazioni, muove questo Il colpevole – The Guilty, film danese già passato in vari festival internazionali (incluso il Torino Film Festival) e ora giunto nelle sale italiane. Al centro, la figura di Asger, un poliziotto che, al centralino del pronto intervento, incappa nella richiesta di aiuto di una donna rapita. Da allora, Asger fa l’impossibile per aiutare la donna e sua figlia, rimasta in casa col fratellino e terrorizzata all’idea di non rivedere più sua madre.

L’idea di partenza di questo Il colpevole – The Guilty è quella di un thriller scarnificato, in cui il senso del ritmo e la suspence siano tutti affidati alle voci telefoniche, ai suoni e alla recitazione di un Jakob Cedergren che si sobbarca gran parte del peso del film. L’unica location è la stazione di polizia, mentre la ricostruzione dei drammatici eventi è affidata alle voci di Iben, del suo rapitore Michael, e della piccola Mathilde. Voci che compongono un puzzle a cui il protagonista si ritrova avvinto, determinato da un forte senso etico a impedire il peggio per le due vittime.

Proprio sull’etica personale, sulla sua inevitabile relatività, e sulle sue possibili degenerazioni, si basa la componente capace di scavare più a fondo del film di Gustav Moller – regista qui al suo esordio nel lungometraggio; quella, cioè, che trascende la patina del film di genere, aprendosi a considerazioni sui limiti dell’azione personale e sulle conseguenze di un approccio puramente “morale” al proprio lavoro. Temi che avevano già trovato spazio in un film poco riuscito, ma interessante sotto il profilo teorico, come End of Justice – Nessuno è innocente di Dan Gilroy.

Negli 85 minuti del film, il regista compone un mosaico tesissimo, che si dipana lentamente davanti all’occhio mentale del protagonista e dello spettatore, precisandosi e trasformandosi nel corso del racconto. Un meccanismo perfettamente oliato, merito di una sceneggiatura ben costruita e congegnata, ma anche di una regia capace di tirar fuori il meglio dal suo protagonista; i primi piani e i dettagli del volto di Asger trasmettono tutto il suo disagio fisico, concorrendo da par loro a svelare progressivamente il personaggio e le sue motivazioni.

Esempio di come il cinema sia parimenti medium visivo e narrativo, e di come l’effetto di senso vada stimolato, di volta in volta, con un opportuno dosaggio delle due componenti, Il colpevole – The Guilty ha il merito di introdurre elementi di fattura non banale nel meccanismo “ludico” e di genere di un thriller. Macchina da brividi e studio teorico – ma con un’anima – sul racconto cinematografico, il film di Moller è già stato occhieggiato da Hollywood, che si appresta a produrne un remake con protagonista Jake Gyllenhaal. Una scelta prevedibile, che in ogni caso nulla toglie al valore di un esordio – e di un regista – a cui guardare con molta attenzione.

Marco Minniti

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