Copperman con Luca Argentero

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Dopo una lunga parentesi televisiva, in cui era riuscito – almeno in parte – a portare la sua idea di cinema di genere nell’asfittico panorama della fiction generalista, Eros Puglielli è tornato negli ultimi due anni a lavorare per il grande schermo. Un ritorno che ha visto il regista romano dirigere due opere abbastanza diverse tra loro, all’apparenza lontane dai suoi registri usuali, ma attestanti comunque una buona vitalità creativa e una persistente ecletticità: prima Nevermind, presentato nella sezione Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma, e ora questo Copperman.

Un’opera, quest’ultima, che vede Luca Argentero nei panni di una sorta di supereroe sui generis, vagamente ispirato a quei real life superheroes che il cinema aveva già ritratto in film come Kick-Ass e Super. Ma il personaggio di Anselmo è soprattutto quello che, con un’espressione molto retorica, verrebbe definito “un ragazzo speciale”: autistico ad alto funzionamento, è rimasto dentro di sé quel bambino appassionato di fumetti, convinto che suo padre sia andato lontano per combattere il crimine. Da adulto, Anselmo decide di seguirne le – immaginarie – orme, proteggendo anche la sua amica d’infanzia Titti da un padre violento e pericoloso.

È semplice e basilare, lo spunto di Copperman, ma la sua levità ispira comunque simpatia, specie nella riuscita prima parte: qui, Puglielli illustra l’infanzia del protagonista calandola nella realtà di provincia – il film è ambientato a Spoleto – e delineando bene tanto il carattere del piccolo Anselmo, quanto la singolare e unica sintonia creata con la coetanea Titti. Una descrizione ricca di humour e calore, all’insegna di una levità mai sopra le righe, nonostante le difficoltà subito esplicitate dei due ragazzini, innervata da una vena surreale che non disturba.

Sfortunatamente, il film non riesce a mantenere, nella sua seconda parte, le promesse del prologo, rivelandosi debole principalmente nell’amalgamare il registro fiabesco con una storia di diversità ed emarginazione che vede protagonista un personaggio adulto. L’Anselmo interpretato da Argentero appare eccessivamente stereotipato, palese nei modelli a cui si rifà (viene in mente il protagonista de Il mio nome è Khan), stridente con la rappresentazione più sfumata e realistica del personaggio da bambino, interpretato dal giovanissimo Sebastian Dimulescu.

La componente “supereroistica” del film è invero troppo debole, penalizzata da una sceneggiatura che non sembra mai crederci fino in fondo: nel momento in cui si è dotato il personaggio di Anselmo/Copperman di un costume, e lo si è ritratto nelle sue prime – pur grottesche – scorribande contro il crimine, era d’obbligo sviluppare in modo più compiuto questa componente, abbozzandovi almeno intorno un subplot degno di tale nome. Il film, invece, accantona presto la scelta del protagonista a favore del sottotesto familiare, e la riaggancia a quest’ultimo, un po’ maldestramente, solo nella parte finale.

In tutto ciò, resta irrisolta la figura della Titti adulta – personaggio che, nella sua versione giovane, aveva mostrato buone potenzialità -, mentre gli amici del protagonista, ospiti della struttura psichiatrica in cui lavora, non vanno oltre la macchietta, anche piuttosto superflua nell’ottica dell’economia del racconto. La risoluzione della vicenda, in cui la sceneggiatura prova a tirare le fila delle premesse poste nella prima parte, è piuttosto affrettata, mostrando anche qualche passaggio poco solido a livello di logica narrativa.

Spiace un po’ per la riuscita solo parziale di un prodotto come questo Copperman, specie per il lodevole tentativo di dirigere una fiaba contemporanea che vuole cercare – con humour – di affrontare anche temi di una certa consistenza. Purtroppo, l’intatta vena immaginifica di un regista come Puglielli è qui sacrificata da un plot esile e mancante di incisività, troppo teso a rincorrere un format da cinema per famiglie, e a fornire una rappresentazione stereotipata della (neuro)diversità. Un’occasione mancata, in definitiva, al netto della simpatia che il progetto, nonostante tutto, continua a ispirare.

Marco Minniti

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