Old man & The Gun al cinema

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Che il cinema in pellicola stia vivendo un ritorno di interesse presso cineasti e produttori, in un’epoca che ha abbracciato il digitale forse con troppa fretta, è un dato di fatto. L’esempio, risalente ormai a tre anni fa, di Quentin Tarantino, che ha girato il suo Hateful Eight in uno sfavillante 70mm, è stato subito seguito da molti suoi colleghi, non ultimo Christopher Nolan con l’avanguardistico Dunkirk.

L’operazione compiuta da David Lowery con questo Old Man & The Gun, già passato alla recente Festa del Cinema di Roma e ora in procinto di approdare in sala, è però diversa tanto nelle basi, quanto nelle dimensioni produttive.

Il film di Lowery, infatti, muove da un approccio tipicamente indipendente, per raccontare una storia che, a partire dall’ambientazione, guarda al cinema di qualche decennio fa. E il suo 16mm sgranato ed elegante, che cattura la consistenza polverosa della città di provincia e delle highways texane, è rappresentazione plastica di questo intento.

Il film racconta la vicenda reale di Forrest Tucker, rapinatore gentiluomo e vero artista delle evasioni, dopo la più spettacolare delle sue fughe, quella che lo vide lasciare il penitenziario di San Quentin in un kayak da lui stesso costruito, praticamente sotto gli occhi delle guardie. Successivamente, l’ormai attempato criminale si riunisce a due vecchi compagni, mettendo a segno un’incredibile serie di colpi in varie banche sparse per lo stato, senza mai compiere un solo atto violento. Si mette sulle sue tracce il detective John Hunt, poliziotto che a suo modo ne ammira la genialità e la passione per il suo “lavoro”.

Il punto di riferimento di Lowery è la New Hollywood, quella fase del cinema americano in cui i cineasti godevano di una libertà (artistica e creativa) mai più sperimentata; il suo film guarda con affetto quell’irripetibile stagione, riproducendo la struttura narrativa frammentata e libera di alcuni suoi esponenti (pensiamo a John Cassavetes), la minimale colonna sonora tra country e blues, l’occhio privilegiato sulla provincia americana. Lo fa, anche, utilizzando come protagonista una delle sue icone, quel Robert Redford che di recente, dopo un’invidiabile carriera, ha annunciato il suo ritiro dalle scene proprio dopo questo film.

Old Man & The Gun, tuttavia, non va visto come mera operazione-nostalgia, epigono di un revival per il cinema e la cultura di massa degli anni ‘70 e ‘80 che di recente ha coinvolto tanto il grande, quanto il piccolo schermo. L’operazione messa in campo da Lowery parla innanzitutto allo spettatore moderno, raccontando una storia autunnale di reduci (non solo Redford, ma anche altre due icone come Tom Waits e Sissy Spacek sono della partita) che è anche un pezzo di storia di un intero paese. L’ostinazione del Forrest Tucker di Redford nel perseguire una vita criminale on the road è la voglia estrema di esistere di un sogno americano sospeso tra individualismo romantico e fascinazione per gli outlaws, che proprio nel periodo di ambientazione del film (l’inizio degli anni ‘80) stava cambiando rapidamente i suoi connotati. I fuorilegge stavano per spostarsi tra le mura di Wall Street e nelle spire della finanza, divenendo parte integrante del sistema. A John Dillinger stava per sostituirsi Gordon Gekko, insomma, e la storia di The Wolf of Wall Street (non a caso diretto da Scorsese, altro cineasta “nato” negli anni della New Hollywood) è lì dietro l’angolo.

Sul volto di Redford (ma anche in quello di una Spacek praticamente perfetta) c’è quindi tutto lo spaesamento, la consapevolezza dolente di una pagina che sta per essere definitivamente voltata, del cambio inesorabile di un’epoca; uniti però alla voglia di abbeverarsi a una fonte che ancora stilla vita di strada e utopie libertarie, finché questa non sarà definitivamente prosciugata. Seguendo le parole di un personaggio del film, insomma, Forrest Tuckernon voleva solo guadagnarsi da vivere. Lui voleva vivere”. La stessa ansia di vita, inquieta e inestinguibile, che permea per intero il film di David Lowery.

Marco Minniti

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