Il fu Mattia Pascal

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Chi è, o meglio, chi fu o chi potrà essere, Mattia Pascal? E’, a tutta prima, uno dei due ricchi eredi della fortuna di suo padre, ma è anche una vittima di un disonesto amministratore dei beni che suo padre gli ha lasciato; l’amministratore è sposato con una donna che non riesce ad avere figli e con la quale Mattia, ridotto al lastrico dalla cattiva gestione dei suoi beni, intrattiene una relazione adultera dalla quale nascerà un figlio.

La vita avventurosa di Mattia, nel frattempo divenuto bibliotecario, continua con un’altra relazione amorosa che si concretizza con la nascita di due bambine: la situazione che si viene a creare per queste due nuove nascite è tale che Mattia decide di fuggire dal paese ove abita (Miragno) in direzione di Marsiglia da dove intenderebbe raggiungere la lontana America, ma giunto a Marsiglia è indotto a recarsi a Montecarlo dove, giocando alla roulette, vince una ragguardevole somma e diventa ricco.

Di nuovo in disponibilità di denaro torna a Miragno, dove viene a sapere che è stato ritrovato un cadavere al quale è stato attribuito il suo nome essendo egli scomparso a suo tempo dal paese, senza lasciare traccia di se ed essendo stata quindi la sua scomparsa interpretata dai paesani come un suicidio. É a questo punto che Mattia decide di intraprendere un’altra vita: egli si attribuisce il nome fittizio di Adraiano Meis ed inizia a viaggiare per il mondo fino a quando non conosce, a Roma, una donna che vorrebbe sposare ma che non può perché privo di documenti. Come altrettanto non può denunciare un furto subito, del quale conosce l’autore che, pure, non può denunciare per lo stesso motivo.

E’ quindi costretto a fuggire da Roma e tornare di nuovo a Miragno dove scopre, con grande delusione, che la donna che aveva a suo tempo sposato si è risposata: si ritira allora a vivere le sue giornate nella biblioteca dove lavorava e dove scriverà un manoscritto che un suo collega, don Eligio, gli consiglia di pubblicare.

Fulcro della rappresentazione in scena al Teatro Ghione di Roma fino al gennaio prossimo è il dialogo, molto serrato, che si svolge in mezzo a libri polverosi all’interno di un’atmosfera che il regista Claudio Boccaccini, forte anche dell’attrezzatura scenica di Giulia Colombo riesce a rendere perfettamente, tra Mattia e don Eligio il quale gli “contesta” la sua stranissima “vita”. Un alternarsi di morti e di sostituzioni di persona: dal punto di vista meramente filosofico questo alternarsi non rappresenta altro che quel “doppio”, quella insoddisfazione residente all’interno di ognuno di noi che la società che ci circonda facilmente dimentica travolta da circostanze tali da indurla a sorvolare e non considerare la vera essenza di ogni uomo.

Pirandello ha ovviamente inteso con questo suo romanzo identificare un “eroe” della modernità, paragonandolo agli eroi classici come Ulisse ed Edmond Dantes che, come lui ma al suo contrario, tornano apparentemente all’inizio della vita dopo varie “resurrezioni”. Mattia, causa le convenzioni sociali dell’epoca in cui vive e la propria coscienza, non può tornare ad essere se stesso né può ulteriormente identificarsi in altri, né può “vendicarsi” delle stesse convenzioni sociali che in tal modo lo imprigionano: come Ulisse, egli è e resterà “Nessuno”.

 

Lavoro di non facile codificazione e traduzione dal contorto pensiero pirandelliano, quello che Eleonora Fortunato e lo stesso Claudio Boccaccini hanno saputo egregiamente adattare per il palcoscenico e che gli interpreti Felice Della Corte, Alessia Navarro, Siddartha Prestinari, Paolo Perinelli, Maurizio Greco, Pierre Bresolin ed Ilaria Serrantoni si sono dimostrati bravi soprattutto a rendere fruibile il difficile intento filosofico dello scrittore siciliano.

Assai efficaci le sommesse e delicate musiche opera di Massimilano Pace, tutte in grado di accompagnare, in un sapiente alternarsi di suoni e di silenzi, lo svolgimento della difficile e sotto certi aspetti contorta vicenda.

Andrea Gentili

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