A tu per tu con Pietro Romano

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C’è un filo diretto che lega Roma e Napoli a teatro. Lo ha creato Pietro Romano che ha adattato il celebre testo di Miseria e Nobiltà, in versione romanesca, in scena dal 29 marzo al Teatro delle Muse nella capitale. Visum lo ha incontrato.

Pietro Romano non è nuovo nell’esperimento di adattare, rivisitandoli, grandi classici del teatro alla tradizione della commedia romanesca. L’abbiamo già apprezzato con L’Avaro e Il malato immaginario di Molière, o con Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni. Ora dal 29 marzo, al Teatro Delle Muse,il simpatico attore, continuando la tradizione capitolina, è in scena con Miseria e Nobiltà, di Eduardo Scarpetta, un classico, vero cult della commedia napoletana, reso ancora più famoso poi dal film di Totò. Visum lo ha intervistato.

 

Pietro cosa l’ha spinta a mettere in scena un classico napoletano in dialetto romano?Sicuramente la bellezza dello spettacolo, un grande classico, che, oltre alle varie rappresentazioni teatrali nel corso degli anni, è stato portato sul grande schermo grazie al film che vedeva protagonista Totò. Ho portato in scena altri testi famosi – spiga ai nostri microfoni il popolare attore – in dialetto romanesco e Miseria e Nobiltà è sicuramente una sfida maggiore. Con grande umiltà, poi, come sempre, ho voluto rendere un omaggio al grande Totò, vero punto di riferimento per tanti attori, compreso me. E’ irriproducibile ci si può solo avvicinare”.

Questa commedia è stata già portata in scena l’anno scorso al Teatro Ambra alla Garbatella. Perché questa ripresa?Innanzitutto perché ha avuto tanti consensi da parte del pubblico che ha reagito molto bene a questa trasposizione in romano. Addirittura parecchi napoletani – conferma – incuriositi da questa messa in scena, hanno gradito molto. E poi l’abbiamo ripresa perché buona parte del pubblico non l’ha potuta vedere l’anno scorso per le poche repliche. Quest’anno potrà rifarsi e tornerà a vedere questa commedia anche chi già l’ha vista. E poi la riproponiamo al Teatro Delle Muse, vera culla della napoletanità teatrale”.

 

Quanto è attuale ancora oggi questo testo?E’ attualissimo. Seppur è stato scritto nel 1888, ancora oggi molte famiglie vivono nel disagio economico più totale, nella povertà, ancora oggi molte persone muoiono di fame, basta sentire le notizie dei Tg. Scarpetta, l’autore della commedia, già allora raccontava una realtà che non si discosta molto da quella di oggi”.

 

 

Ha ancora il classico sogno nel cassetto o già l’ha realizzato?No, il mio sogno rimane sempre quello di poter interpretare il personaggio di Rugantino, dall’omonima commedia musicale dei grandi Garinei e Giovannini. Come vede – sottolinea l’attore – non tradisco i miei sogni. Ma avrei anche dei sogni cinematografici: vorrei interpretare una commedia all’italiana come quelle di una volta, alla Dino Risi, alla Steno. Una pellicola in bianco e nero ma piena di colori”.

Cosa bolle in pentola nell’immediato futuro di Pietro Romano?Il prossimo maggio chiuderò la stagione del Teatro Tirso de Molina con Nerone, una commedia scritta e diretta da Roberto D’Alessandro, dove mi vedrete in una veste insolita, con una tunica da antico romano”. E per la stagione prossima è già al lavoro?Sì, ma non voglio anticipare più di tanto: sto preparando, per la ripresa della stagione invernale, una commedia nuova, diversa, ambientata durante la Seconda Guerra mondiale. E poi sto preparando per il 2018 un ‘one man show’, un album dei miei ricordi per festeggiare i miei 33 anni di carriera. Dovevo fare questo spettacolo per il trentennale. Per altri impegni, l’ho rimandato”.

 

Ha cominciato che era quasi un ragazzo.
Nel 1985, facevo un piccolo attore al Teatro dell’Opera di Roma, in cui interpretavo dei movimenti unici. La prima opera è stata Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, abbinata ad un’opera moderna dell’epoca, Salvatore Giuliano, per la prima volta rappresentata. Nella prima ero un piccolo ‘picciotto’, nella seconda un piccolo delinquente. Fumavo in scena una sigaretta finta, fatta con la camomilla perché ero minorenne”.

Giancarlo Leone

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