Incontro a teatro con Maria Luisa Abate

0

Al Teatro Vascello di Roma la compagnia Marcido Marcidorjs ha recentemente ripresentato Bersaglio su Molly Bloom, già Premio Ubu 2003 per la scenografia. Visum ha incontrato Maria Luisa Abate, prima attrice della compagnia.

 

Recentemente è andato in scena al teatro Vascello di Roma ujn interessante lavoro intitolato Bersaglio su Molly Bloom con la compagnia Marcido Marcidorjs, con la prima attrice Maria Luisa Abate. Visum l’ha incontrata.

 

 

 

 

Dopo quasi quindici anni dal debutto, avete ripresentato la fortunatissima messa in scena di Bersaglio su Molly Bloom. Rispetto al 2002, la rappresentazione ha subito un’evoluzione?
“Una delle tradizioni della compagnia è quella di avere un repertorio: ogni tanto, come una sorta di memoria del teatro, tiriamo fuori dal nostro cappello degli spettacoli. E questo anche perché sono sempre molto attuali. Ovviamente c’è sempre un’evoluzione. Questa volta devo dire – spiega l’attrice a Visum – che personalmente credo di aver centrato pienamente Molly Bloom, più che rispetto al passato. Forse perché ho acquisito una maggiore consapevolezza della gioia di vivere, quasi della clownerie, che è nascosta dietro questo vitalissimo personaggio. E anche una maggiore consapevolezza della grandezza di Joyce nel centrare il femminino”.

 

Il titolo sembra essere già un indicatore della direzione drammaturgica dell’atto scenico. Può spiegarci quindi perché “bersaglio” su Molly Bloom?
“I motivi sono tanti. Prima di tutto è un ‘bersaglio’ sul testo, ovvero il tentativo da parte di Marco Isidori di centrare la sua modernità. E poi sulla struttura, la grande pala d’altare ideata da Daniela Dal Cin che qualcuno ha definito anche una forma di cervello, con varie voci che pensano nello stesso tempo. Questo concertato va poi piano piano a concentrarsi su di me, su questa conchiglia centrale a cui è affidata la tirata finale, il famoso monologo dei sì”.

 

La vocalità svolge un ruolo di primo piano in tutti i vostri lavori, una delle particolarità dello spettacolo è che non si tratta di un monologo per voce sola ma è a più voci…
“La pluralità delle voci è una condizione di ricerca molto profonda nel disegno artistico della compagnia Marcido. Più voci riescono a smuovere questo ‘attore muto’ che è il pubblico. La massa fonica deve colpire subito, così come la massa visiva. Il primo impatto per lo spettatore è il vedere questa grande scenografia, e poi il sentire in questa concertazione la musicalità della parola di Joyce”.

Influisce sulla recitazione il fatto di essere “legati”?
“Influisce in positivo, perché innanzitutto – e questa è un’abitudine della compagnia – l’attore non esce mai di scena, è costretto alla presenza continua, sia fisica che mentale. E in più il fatto di essere imbrigliato scatena per compressione una doppia forza: l’attore va naturalmente verso il pubblico e, nel farlo, c’è una compressione che scatena energia. Devo dire che questa sensazione di energia è avvertita da tutti. Il pubblico la vuole, gli piace essere caricato, divertito e trasformato a teatro”.
La compagnia sta lavorando a nuovi progetti attualmente?
“Il 4 giugno debutterà al Festival delle Colline un recital – che però avrà una forma tutta in stile Marcido – di poetesse: Amelia Rosselli, Sylvia Plath e Emily Dickinson, con una piccola deviazione su Campana. Parallelamente stiamo cominciando a lavorare a un Re Lear, che debutterà nel 2018”.

Barbara Lo Conte

Nessun commento