Certe notti al teatro Ghione

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Al di la delle risate, parecchie ma amare, che suscita questo testo, si assiste al trionfo dell’esistenzialismo e del simbolismo: l’università quale rappresentazione di una generazione (quella attuale?) completamente senza prospettive e non in grado di auto badarsi né in grado di superare il simbolico esame della vita e che, di conseguenza, trascorre notti insonni.

L’università anche come micro rappresentazione della società e dell’ambiente affatto sterile nel quale ci dibattiamo ogni giorno, con la rabbia nell’animo, il tentativo di amore innato in ognuno di noi e continuamente “segato”, le paure, le speranze che ognuno dei personaggi in scena interpreta, mostrando al pubblico di voler ognuno trovare una collocazione che non c’è e che senza un colpo di scena, non arriverà mai.

Soltanto qualcosa di sconvolgente come ad esempio un terremoto
(quello de L’Aquila? ) che inserisce in ognuno di noi il terrore, secondo l’autore, Antonio Grosso, è in grado di portare paradossalmente uno squarcio di speranza.
La storia è una storia fatta di anime e di corpi idealizzati le cui vicende si intrecciano in maniera quasi indissolubile, attraverso le risate isteriche dei personaggi, le loro riflessioni in un’armonia di cattiverie reciproche che inquadrano i cinque personaggi in scena all’interno dei loro problemi esistenziali, problemi quasi senza speranza di soluzione.

Sono i problemi della vita, le mancate prospettive di un futuro vacuo, sempre denso di ostacoli che in scena vengono rappresentati da un infame e cattivissimo professore universitario che con la sua volubilità, retroterra di intima insoddisfazione, blocca l’avvenire dei suoi studenti impedendo loro di superare gli esami universitari e, concretamente, di superare i problemi della vita.

Certo, lo spettacolo è anche divertente, ma soltanto perché l’autore ed il regista (Andrea Velotti) hanno voluto indorare le amare pillole che compongono il soggetto con una sottile e comica ironia: la pillola della vita senza prospettive e quella della cattiveria umana che non guarda in faccia nessuno, la giungla delle tristezze e delle emarginazioni: soltanto una catastrofe, qui rappresentata da un terremoto che obbliga i personaggi in scena a convivere in uno spazio ristretto, potrà finalmente indurli a condividere le poche risorse a loro disposizione, forse affratellandoli.

Ottima la sceneggiatura di Luigi Ferrigno e bravi gli interpreti Ciro Scalera, Ariele Vincenti, Antonello Pascale e Federica Carruba Toscano oltre a Rocio Munoz Morales nella parte della studentessa straniera.
Il lavoro terrà il palcoscenico del Ghione, in Via delle Fornaci, 37, fino al prossimo 19 febbraio.

Andrea Gentili

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