Una festa esagerata al Sistina

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Dopo una breve tournée per l’Italia, è approdata a Roma, al Teatro Sistina, fino al prossimo 5 febbraio, la nuova, divertente commedia scritta, diretta ed interpretata da Vincenzo Salemme, Una festa esagerata.

 Dopo una breve tournée per l’Italia, è approdata a Roma, al Teatro Sistina, fino al prossimo 5 febbraio, la nuova, divertente commedia scritta, diretta ed interpretata da Vincenzo Salemme, Una festa esagerata.
A Napoli quando i figli compiono 18 anni si festeggia in modo veramente eccessivo, ecco perché il titolo di questa pièce: le organizzazioni e le implicazioni sociali sono pari a quelle di un matrimonio. E si parte appunto da un compleanno.

La trama. Gennaro Parascandolo (Vincenzo Salemme), piccolo costruttore edile, deve organizzare, per l’appunto, la festa per il diciottesimo compleanno della figlia Mirea (Mirea Flavia Stellato). Ne dà avviso ai condomini del piano inferiore, scusandosi in anticipo per l’eventuale rumore che si potrà sentire.

 

 

 

 

I condomini al piano di sotto sono don Giovanni (Giovanni Ribò), un novantenne sempre in ottima salute e impiccione del condominio e la figlia Lucia (Antonella Cioli) a cui questa festa non fa molto piacere ed è molto seccata. La notizia le è stata data da Tonino (Antonio Guerriero), l’aspirante portiere. Venuto il fatidico giorno della festa, in casa Parascandolo fervono i preparativi, con camerieri e lo stesso portiere al lavoro affinché tutto vada per il verso giusto e allestire il tutto sul terrazzo: c’è un finto cameriere indiano (ma in realtà è napoletano, interpretato da Vincenzo Borrino) di rinforzo.

Gennaro deve combattere con le manie di grandezza della moglie Teresa (Teresa Del Vecchio): i 42 invitati di cui conosce l’esistenza sono in realtà 84, il doppio, compreso l’assessore Cardellino, il cui figlio (Sergio D’Auria) è fidanzato con la figlia di Gennaro. Il fidanzato ha regalato alla ragazza addirittura una Fiat 500 e i due scendono a provarla. Mentre stanno risalendo, nel palazzo riecheggiano le grida provenienti dall’appartamento della signorina Lucia: l’anziano padre sta male. I due giovani danno la notizia ai genitori di lei, al parroco (Nicola Acunzo), appena arrivato e a Tonino. I quattro così scendono a controllare: Don Giovanni è morto e con un defunto nel palazzo, le convenzioni del buon vicinato non permetterebbero lo svolgimento della festa.

Don Giovanni è morto all’improvviso e anche se la figlia in lacrime gli dice di far svolgere ugualmente la festa, ai coniugi Parascandolo si prospetta un atroce dubbio: rinunciare alla festa o contravvenire all’etica condominiale? Ai Parascandolo viene un’idea: perché non convincere la signorina Lucia a dare solo l’indomani l’annuncio della morte del padre? E chi spetta il compito di convincere la donna?  A Gennaro, che deve riandare giù da Lucia.
Questa, zitella ormai da anni e avanti con l’età, fa delle avance a Gennaro che, come la donna sostiene, una volta l’avrebbe baciata in ascensore.

 

Ma in realtà era una rianimazione bocca a bocca. Lucia bon vuol sentire ragioni: acconsentirebbe alla richiesta di Gennaro solo se lui fa l’amore con lei. Al rifiuto di Gennaro, la donna rivela la verità: ha lei stesso avvelenato il padre solo per rovinare la festa dei diciotto anni e beve lo stesso veleno. Rimasto solo, ora con due morti nell’appartamento sottostante, Gennaro si sfoga sulla cattiveria dei suoi vicini e si convince a fare svolgere la festa perché questo sarebbe l’unica maniera di provare la sua innocenza e che non c’entra niente con quelle morti.

Ma mentre sta per andare via, ecco il colpo di scena: la dose di veleno era sbagliata e padre e figlia si risvegliano, mentre Gennaro ha un infarto. Qui la scena termina, per riprendere un mese dopo, quando in casa Parascandolo si svolge una cena per celebrare la pace fatta fra condomini: c’è anche Gennaro, rimasto sulla sedia a rotelle.

L’uomo rimane solo sulla terrazza a cercare consolazione in una Napoli che sembra un presepe ai suoi piedi. A questo punto ode una voce dall’alto, la celebre voce di Eduardo che chiede a tutti noi: “Te piace ‘o presepe?”. Se questo è il presepe di oggi, “No, nun me piace”, risponde Salemme. In questa nuova commedia, Vincenzo Salemme vuole far prevalere il tema del cinismo e dell’indifferenza che rovinerebbe i rapporti tra gli uomini, tanto nei piccoli litigi tra vicini, quanto nei grandi scenari mondiali.

 

Le relazioni all’interno del condominio sono uno spaccato della società che ha difficoltà a riconoscere il rispetto, c’è indifferenza e antepone cinicamente interessi di parte e faziosità. Perché non essere felici? Tante volte si dice “Aiutati che Dio ti aiuta”. Ecco: si può desiderare di essere felici senza sentirsi in colpa. Si deve amare la felicità. Spesso, invece, l’infelicità dei nostri simili tranquillizza, mentre il successo viene odiato perché destabilizza. Non si deve avere paura di amare. E’ questa forse la morale che Salemme ci vuole trasmettere in questa pièce, da vedere senz’altro.

Giancarlo Leone

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