Arturo Dazzi, un artista da riscoprire

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Nel cinquantesimo anniversario della scomparsa, una grande mostra antologica, aperta alla Casina dei Principi di Villa Torlonia, ripercorre la vita e l’arte di uno dei più rappresentativi artisti del Novecento italiano, Arturo Dazzi. Presenta più di cinquanta opere, fra sculture in marmo, gessi, disegni e dipinti a cui si aggiungono molti documenti. Scultore di successo, pittore, attivo tra gli anni venti e quaranta in parallelo con le affermazioni del regime. Poi l’oblio.

Roma, Carrara, Forte dei Marmi, tre città unite per ricordare un grande artista fra le due guerre e poi dimenticato, Arturo Dazzi. Carrara dove nasce e si forma all’Accademia di Belle Arti, Roma dove giunge la prima volta nel 1901 avendo vinto un concorso di pensionato artistico. E a Roma, una città che nel clima di promozione della cultura e dell’arte del governo giolittiano, offriva al giovane artista nuove possibilità di esprimersi, si trasferisce con la giovane moglie, prendendo casa in via Paisiello vicino a Giacomo Balla.

 

Se Carrara è la città della memoria e della formazione accademica e Roma la città delle grandi commissioni pubbliche Forte dei Marmi è il luogo dove poter scolpire in pace, dove si ritira a vivere all’apice del successo nel ’26 subito dopo la Biennale di Venezia. E in Versilia realizza opere monumentali nate dalla collaborazione con Marcello Piacentini e riscopre la pittura, come una pausa dalle fatiche della scultura. L’altra corda al suo arco. Alla Biennale del ’32 presenta 22 dipinti.

 

 

Ed ecco il Dazzi pittore che va dal nudo alla poetica animalista, alle nature morte, ai rari paesaggi, in un rapporto di scambio cin i temi della scultura. E’ il caso di Agnellino, in mostra il gesso, progettato per la Cappella Agnelli del Sestriere a decorazione dell’acquasantiera che ritorna nel dipinto Bimba nuda con agnellini. Ma la notorietà di Dazzi si deve alla scultura monumentale che gli valse il titolo di Accademico d’Italia.

Il suo monumento più noto è la Stele dell’Eur dedicata a Guglielmo Marconi, che l’autore chiamava l’Antenna di Marconi. Alta 45 metri simboleggia la potenza della radio, il nuovo mezzo di comunicazione. Eppure se tutti conoscono “l’Obelisco”, ben pochi ricordano il nome del suo autore, che ha lasciato numerose altre opere a Roma.

Alla Galleria Nazionale c’è il gruppo bronzeo de I costruttori del 1907 e la statua in marmo del Cavallino, mentre nella Galleria Comunale ci sono Antonella e Sogno di bimba. E in città è intervenuto al Vittoriano e al Palazzaccio dove si trova la statua del Cardinal De Luca. Aveva collaborato inoltre con l’architetto Piacentini in molti progetti. In particolare nella decorazione del Cinema-Teatro di San Lorenzo in Lucina per cui realizza quattro medaglioni in bronzo raffiguranti la Danza, la Musica, la Tragedia e la Commedia, due in mostra. Ma dell’ex Cinema Corso, poi Etoile, niente rimane.

 

 

E’ quindi naturale che la rassegna organizzata in collaborazione dalla Fondazione Villa Bertelli di Forte dei Marmi ed i Comuni di Forte e Carrara sia stata presentata a Roma al Villino dei Principi di Villa Torlonia a cinquant’anni dalla morte dell’artista.  Una mostra antologica, curata da Anna Vittoria Laghi, che presenta più di cinquanta opere provenienti dalla collezione dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, dalla Fondazione Cassa di Risparmio, dagli eredi Dazzi. Il nucleo più cospicuo è di proprietà del Comune di Forte, dono nel 1987 della vedova Dazzi. Sono in mostra sculture in marmo, gessi, disegni, dipinti e lettere, foto, diplomi, medaglie, ritagli di giornali d’epoca, in un percorso cronologico che segue l’evoluzione della sua arte in relazione alle città in cui ha vissuto.

La mostra si apre con un Autoritratto del ’52 e una serie di opere ascrivibili al periodo della formazione quando non disdegna atmosfere Liberty. Immagine guida il gesso dell’Adolescente, una figura di giovane nuda, una Venere Pudica esposta alla Mostra sull’arte italiana a Berna del ’38 e una serie di documenti fra cui le foto di 11 opere esposte alla Biennale del ’26 e quelle della Sala personale della Biennale del ’28 che ospitava Cavallino. Nella sala da pranzo del Villino dei Principi che conserva le decorazioni con paesaggi del Golfo di Napoli, eseguite da Giovan Battista Caretti, si può vedere, accanto a strumenti di lavoro, il modello originale del Cavallino e alcuni ritratti e busti in marmo degli anni Venti, Ritratto di bimbo, Antonella, Serafina.

Sono gli anni in cui matura la sua concezione “classica” della scultura e il suo stile si fa saldo, sintetico, superando il descrittivismo. Tinto di “intima commozione” quando si tratta di bambini e animali, i soggetti preferiti. “Un linguaggio plastico di mediazione fra modernità e classicismo in sintonia col ritorno all’ordine degli anni venti”.
A terra in una saletta, Capriolo morente in pietra rosa di Vicenza, che venne esposto, insieme con alcuni dipinti di animali fra cui Giovenchi della Maremma Toscana, Gazzelle, alla mostra L’animale nell’arte che si tenne a Roma nel 1930. I due quadri, conservavano “ di molte qualità della scultura” che si era arricchita di un “sentimento umano” ebbe a dire Cipriano Efisio Oppo, deus ex machina della Quadriennale di Roma.

La rassegna prosegue al piano superiore con la scultura monumentale e i dipinti di grandi dimensioni scelti fra quelli presentati alla Biennale del ’32, Mezzogiorno, Razza, Pittrice, Mattino di settembre. Una pittura ariosa e spontanea. “Dipingo tutto all’aria aperta – scriveva – un nudo di giovinetta in riva al mare o all’ombra dei pioppi  mi commuove più che se fosse chiuso fra quattro mura. I pesci al sole, tutto argento azzurro e viola, sono assai più belli che visti putrefatti in un angolo oscuro. La natura maestra di tutto è anche la mia sola maestra”. E in chiusura ammetteva “non sono mai stato a Parigi”.

Al centro del salone d’ingresso il grande Ritratto di Curzio Malaparte realizzato in legno, esposto alla Biennale del ’52 con cui l’artista si apre alla modernità. In una foto il Fregio per l’Altare della Patria, con cui arriva secondo al concorso bandito nel 1908 che gli procura i primi consensi, alle pareti grandi carboncini a sanguigna su carta, la formella in gesso che raffigura Dazzi e Piacentini per l’Arco di Trionfo ai Caduti di Genova che racconta la sintonia fra i due che non s’interrompe nemmeno dopo la guerra. Sono del ’47 i due bozzetti per la porta di S. Pietro. La Madonna con Bambino per la Chiesa dell’Università di Roma è del ‘60.

Una serie di disegni, modelli e bozzetti raccontano la lunga e travagliata vicenda della realizzazione della Stele di Marconi che sarà inaugurata solo nel ’59. Le novantadue formelle in marmo che la ricoprono trattano temi come il diluvio, le danze, i canti d’amore, la caccia, le voci della radio.
Nelle ultime sale si rende omaggio al pittore di luminosi dipinti di animali e di nudi e al ritrattista in pittura e scultura, in un continuo rimando di citazioni e riprese stilistiche e immagini. Ci sono sempre pesci, ma anche cicogne, aironi, caprioli, cani lupo. Un gesso “grande al vero” è il Ritratto di Marconi preparatorio del marmo portato a Montecchio, nella casa dello scienziato.

E’ degli anni ’40 – ’45 quando realizza anche il Ritratto di Trilussa.  C’è anche il gesso preparatorio del ritratto in marmo di Giovanni Papini. Il disegno a carboncino è tracciato sulla prima pagina de La Nazione. Fra i capelli si leggono i nomi di due politici del tempo, Pella e Pacciardi.

Museo di Villa Torlonia, Casino dei Principi, Via Nomentana 70 – Roma. Orario: 9 – 19, lunedì chiuso. Fino al 29 gennaio 2017. Informazioni: 060608 e www.museivillatorlonia.it

Laura Gigliotti

 

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Senese di nascita e romana d’adozione. Iscritta all’Ordine Nazionale dei Giornalisti di Roma dall’81, ha pubblicato in modo continuativo per quotidiani e riviste cartacee: da “La Voce Repubblicana” a “Mondo Economico”, a “ Il Tempo”, “il Giornale”, “Il Sole 24 Ore”. E per giornali online come “Visum” e “Quotidiano Arte”. Senza contare interventi saltuari in numerose pubblicazioni fra cui “Le città” e il “Corriere della Sera”. Sempre di cultura e società in senso lato e in modo specifico di archeologia, architettura, arte e musica. E di libri, di Roma e del Vaticano.

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